Praxis Framework, un metodo integrato per il project management

Ho conosciuto Praxis Framework grazie ai colleghi di E-quality che hanno contribuito alla metodologia sviluppando la sua versione italiana. Ho iniziato ad utilizzarlo circa tre anni fa e ho immediatamente apprezzato l’opportunità di disporre per il mio lavoro di consulenza di uno strumento davvero completo, integrato e disponibile sotto licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0. Questo significa poter liberamente modificare e condividere il materiale prodotto a patto di menzionare adeguatamente la fonte e le modifiche apportate e ricondividere il materiale prodotto con la stessa licenza.

Ho ritrovato in Praxis Framework un po’ tutto quello che ero abituato ad usare nei miei progetti e da allora tendo a basare la mia attività su questa metodologia. Il framework è infatti ampiamente coerente e sovrapponibile con tutte le migliori pratiche di settore come PRINCE2 e PMBoK e ISO21500 e in più ha il pregio di essere stato completamente integrato a comprendere un po’ tutti gli strumenti che possono essere efficacemente impiegati per strutturare in azienda una metodologia di governance e gestione dei progetti.

Al PMExpo tenutosi a Roma lo scorso 27 ottobre sono stato invitato da Luca Gamebtti di E-quality a raccontare in un workshop di AMPG International una mia esperienza di applicazione di Praxis Framework, che poi è stata anche ripresa in un caso di studio ufficiale di APMG (cliccare qui per scaricarlo).

Si tratta dell’applicazione di Praxis in una start-up innovativa, sviluppata nell’ambito di un’agenzia di comunicazione consolidata, che ha la necessità di essere efficace, flessibile ed efficiente per poter operare su progetti di clienti diversi. Abbiamo quindi impostato una metodologia  di tipo agile. Allo stesso tempo, c’è la forte necessità di valutare in modo continuo, in corso di progetto, la giustificazione tecnico-economica e di disporre di governance e controllo gestiti per fasi.

Ho quindi adattato e incorporato i processi di Praxis Framework al modo di lavorare dell’organizzazione e ho utilizzato estensivamente il Canvas Report – Project Brief (stampato in forma di pannello a parete in PVC, come in foto) quale strumento visivo e agile di riferimento. Il Processo di Identificazione per arrivare alla definizione del Canvas Report – Project Brief lo ho impostato in forma di workshop partecipativo di una giornata – uno per ogni progetto – e poi ho utilizzato lo stesso Canvas Report – Project Brief come strumento a forte impatto visivo per continuare a rivalutare e mettere in discussione la giustificazione dei progetti lungo tutto il loro ciclo di vita.

L’implementazione della metodologia ci ha permesso di ottenere un più alto numero di progetti gestiti da parte dei team a parità di risorse, meno rilavorazioni causate da errori di gestione del progetto e maggiore attenzione di tutti alle giuste priorità di business.

Il consolidamento del nuovo approccio di lavoro ci sta ora avvicinando verso l’obiettivo finale di ottenere maggiore soddisfazione del cliente insieme a maggiore efficienza e conseguentemente anche a maggiore marginalità per i progetti in portafoglio.

Perché ITIL® Practitioner crea valore per le piccole aziende

Sul blog di AXELOS mi è stato pubblicato un breve articolo in cui racconto come l’utilizzo dell’approccio che viene proposto nell’ambito della certificazione ITIL® Practitioner sia stato di utilità in una mia recente esperienza di consulenza.

ITIL® si porta dietro il pregiudizio di essere qualcosa di utile solo per grandi realtà: la mia esperienza mi ha insegnato che con un opportuno lavoro di “adotta e adatta” lo si può applicare proficuamente anche in realtà aziendali medio piccole e a progetti IT di portata limitata.

Si può leggere l’articolo cliccando qui, buona lettura!

Può un’idea geniale e creativa risolvere un progetto?

“Buscar el levante por el poniente”  Cristoforo Colombo

2015-09-01 06.56.59Mi è capitato, a fronte della mia proposta di applicazione di metodologie strutturate di project management, di sentirmi obiettare che per la riuscita dei progetti, più che di metodologie, occorre competenza nel merito e alle volte anche un’idea geniale e creativa.

E’ vero che le competenze di merito e le idee creative sono importanti, ma questo non è in contraddizione con l’applicazione di un metodo per la gestione strutturata dei progetti. Anzi, è vero il contrario.

Prince2, come anche altre metodologie quali PMBoK o Praxis Framework, invita alla gestione strutturata dei rischi, siano essi a impatto negativo (minacce) o che siano invece a impatto positivo (opportunità). E’ proprio questa ultima categoria che spesso viene trascurata e che deve invece essere compresa meglio.

Una gestione opportuna (identificazione, valutazione, pianificazione e implementazione di azioni di risposta) permette di classificare secondo logiche di valore i vari rischi-opportunità che si presentano – magari anche identificati tramite intuizioni geniali di qualche partecipante al progetto! – e di definire adeguate strategie e azioni di risposta per condividere, aumentare o sfruttare le opportunità che si sono presentate.

Un metodo rigoroso permette di catturare meglio e prima le intuizioni, di non disperderle e di stimolare il pensiero di tutti alla continua elaborazione di idee che possano essere funzionali alla riuscita del progetto. La classificazione per logiche di valore permette quindi di focalizzarsi sulle migliori opportunità, concentrando su di esse gli sforzi e le risorse a disposizione.

Anche l’opera di Cristoforo Colombo di “buscar el levante por el poniente” può essere annoverata tra i casi illustri di gestione virtuosa dei rischi-opportunità. Isabella di Castiglia ha saputo cogliere il valore potenziale dell’intuizione di Colombo, ma soprattutto ha saputo lavorare in modo strutturato per sfruttare al meglio il rischio-opportunità che le si era presentato.

 

Interpretare correttamente il contesto di progetto

Il mio 2015 podistico è stato un anno complesso. Il termine che ho utilizzato non è casuale e fa riferimento a uno dei cinque domini del modello Cynefin [termine in gaelico gallese, pronuncia: /ˈkʌnɨvɪn/], un modello di interpretazione che aiuta i manager a determinare, in funzione del livello di complessità, il contesto operativo prevalente, consentendo scelte e decisioni appropriate. Cynefin definisce una serie di domini di relazione causa/effetto in funzione dei quali suggerisce al manager il tipo di spiegazioni o soluzioni che potrebbero essere applicate.

Secondo l’autore, Dave Snowden, il dominio Complesso (Complex domain) è quello in cui il rapporto tra causa ed effetto degli eventi può essere percepito solo a posteriori, ma non in anticipo, per cui le soluzioni operative vanno ricercate secondo uno schema che prevede di Esplorare – Percepire – Rispondere (Probe – Sense – Respond) da preferire, nel mio caso podistico, allo schema per il dominio Ovvio (Obvious domain, in origine denominato Simple domain), che prevede di Percepire – Categorizzare – Rispondere (Sense –  Categorise – Respond), ma anche a quello del dominio Complicato (Complicated domain), che prevede di Percepire – Analizzare – Rispondere (Sense – Analyse – Respond).

Podisticamente parlando, una serie di situazioni impreviste mi hanno fatto scivolare da un dominio Ovvio, nel quale riuscivo ad allenarmi regolarmente seguendo un modello noto e ricorrente in funzione delle condizioni fisiche percepite (che Cynefin chiama “best practice“), verso un dominio dapprima Complicato, nel quale mi occorreva un’analisi delle condizioni fisiche percepite prima di poter rispondere con una opportuna modalità di allenamento (che Cynefin chiama “good practice“), e infine verso un dominio Complesso, nel quale devo cercare e trovare  soluzioni di allenamento sperimentali (che Cynefin chiama “emergent practice“), per tentativi ed errori secondo una modalità per cui prima esploro una soluzione, poi percepisco il mio stato fisico e quindi rispondo con la soluzione di allenamento che vedo funzionare tra quelle esplorate. La sfida è quella di riportarmi progressivamente verso un dominio Ovvio, evitando al tempo stesso di scivolare nel dominio Caotico (Chaotic domain), nel quale diventa impossibile individuare la relazione causa/effetto e si è costretti ad Agire – Percepire – Rispondere (Act – Sense – Respond) o peggio nel dominio del Disordine (Disorder domain) nel quale non si comprende più nemmeno quale sia lo schema da applicare e si tende a rifugiarsi nella propria zona di comfort, effettivamente perdendo il controllo della situazione.

Tale modello, per quanto teorico e di pura interpretazione, sottopone a una certa disciplina mentale nel riconoscere correttamente le situazioni di progetto e a operare di conseguenza. La metafora sportiva mi riporta alle situazioni operative in progetti aziendali di cui mi occupo, per le quali ho potuto verificare che quello che spesso manca non è tanto uno schema di gestione, quanto lo schema di gestione appropriato rispetto ai meccanismi di causa/effetto del contesto aziendale e del mercato di riferimento.

Prince2 e responsabilità nei progetti

In questo ultimo anno ho avuto modo di riflettere parecchio sul concetto di responsabilità nei progetti, e su come questo venga pensato e attuato in contesti socio-culturali diversi. L’occasione di riflessione me la ha data ancora una volta la struttura della metodologia di project management che applico e anche insegno, Prince2.

Ben tre dei sette principi che sono a fondamento di Prince2 sono direttamente a supporto di un sostanziale meccanismo di “accountability”, per usare il termine inglese che ha un significato più forte rispetto alla semplice “responsibility”, termini entrambi normalmente tradotti in italiano con “responsabilità”. Ma il termine inglese accountability in italiano non ha un vero corrispondente perché ha un significato più stringente, esprime la responsabilità personale ultima, necessariamente in capo a un singolo, che ha il dovere di giustificare le proprie azioni e decisioni e rispondere del proprio operato, anche con una forte implicita valenza di “responsabilità morale a operare bene” e in caso contrario a “pagare di persona” (account = conto, rendiconto).

Se vogliamo davvero capire Prince2 e applicarlo in modo efficace dobbiamo, secondo me, pensare la responsabilità in termini di accountability come appena descritta. I principi Prince2 di “Giustificazione commerciale continua“, “Ruoli e responsabilità definiti” e “Gestione per eccezione” fanno riferimento a questo concetto.

Visto da una prospettiva italiana si fa un po’ fatica a immaginarsi un sistema di gestione dei progetti in cui esista una delega vera accompagnata da un’autonomia decisionale dei vari livelli gestionali, un ‘supremo’ del progetto (che Prince2 chiama Executive) che deve decidere costantemente se il progetto ha e continua ad avere un senso, nel caso non lo abbia più intervenire ‘senza pietà’ per risparmiare risorse e, in ogni caso, rispondere del progetto in prima persona. Del resto Prince2 è nato in Gran Bretagna, nella pubblica amministrazione (anche questo noi italiani facciamo fatica a immaginarlo!), quando era primo ministro una tale signora Thatcher. In Italia, al contrario, solo a enunciare certi concetti si incontra un misto tra rassegnazione allo status quo e resistenza al cambiamento.

Eppure rimango dell’idea che l’adattamento di Prince2 all’ambiente di progetto specifico, in Italia, richieda  un’adeguata comprensione del salto culturale che questo implica e una buona dose di adesione al principio anglosassone di “accountability”: nella mia esperienza l’impiego di Prince2 è stato tanto più efficace quanto più i committenti del progetto hanno accettato e metabolizzato tale passaggio culturale.

 

consapevolezza e controllo dei progetti

In questi tempi di crisi economica mi trovo a fare i conti sempre più spesso con un avversario subdolo ma dall’effetto dirompente nelle organizzazioni: la paura di affrontare la realtà per quella che è e fare delle scelte conseguenti. Sempre più spesso suggerisco quindi la visione del film “The Matrix” (il primo della trilogia) e in particolare della scena cruciale che potete rivedere qui sotto.

Ogni volta che in azienda sviluppo soluzioni di project management, funziona più o meno nello stesso modo, presto o tardi mi trovo a citare Morpheus:

Adesso ti dico perché sei qui. Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra, nel mondo. Non sai bene di che si tratta ma l’avverti. È un chiodo fisso nel cervello. Da diventarci matto. È questa sensazione che ti ha portato da me. Tu sai di cosa sto parlando. <….> Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

Mi chiamano a occuparmi della gestione dei progetti perché c’è un’intuizione, qualcuno capisce che c’è qualcosa che non quadra e va fatto quadrare e allora chiamano un esperto. Ma dopo un po’ che sono arrivato io con la mia pillola rossa, ovvero la consapevolezza data da un reale controllo dei progetti, arrivano anche lo shock e la paura di affrontare la verità.

Qui, secondo me, sta il nocciolo di come si è innescata e di come si alimenta per molti versi la crisi attuale. Troppe volte mi trovo di fronte a persone che sono poco attrezzate mentalmente a reggere la pressione che è data dalla consapevolezza della verità, hanno paura di affrontarla e sono irresistibilmente attratte dalla rassicurante anestesia della pillola azzurra. Ma come spiego loro, dalla crisi si esce solo prendendo la pillola rossa, facendo i conti con la verità, essendo capaci di scelte coraggiose.

Ho già scritto in passato – nel post “I progetti e l’intensità di lavoro” – della necessità di allenarsi a lavorare in intensità e sotto pressione, preparandosi per tempo. Diventare maratoneta, per me che non ho velleità agonistiche, è stato anche un modo per prendere la pillola rossa, a modo mio volevo sapere se potevo spostarmi per lunghe distanze affrancandomi dalla schiavitù delle macchine, rappresentate simbolicamente dall’automobile. E con questo ho scoperto i vantaggi che l’allenamento a reggere la pressione fisica e mentale per lungo tempo dà nell’affrontare e vincere la paura delle verità scomode della vita professionale e personale.

 

Prince2 e la Strategia di Gestione della Comunicazione nei progetti

“To do our work, we all have to read a mass of papers.
Nearly all of them are far too long. This wastes time,
while energy has to be spent in looking for the essential
points.
I ask my colleagues and their staffs to see to it
that their Reports are shorter.”
Winston Churchill, Memorandum del Primo Ministro, 9 agosto 1940
Fai click qui per visualizzare il documento originale

Churchill V sign HU 55521In questo articolo mi voglio soffermare sull’importanza della buona comunicazione all’interno dei progetti.

Mi è capitato spesso di trovarmi, al primo approccio con nuovi progetti aziendali da gestire, inondato dal primo giorno e quotidianamente da decine di mail più o meno strutturate dalle quali provare a capire cosa stava succedendo intorno a me. L’uso pervasivo della posta elettronica nelle comunicazioni aziendali, con la sua facilità d’uso e informalità, ha in molti casi soppiantato tutte le altre forme di comunicazione e generato una eccessiva proliferazione di messaggi. Il caso emblematico è una mail con un oggetto del tipo “URGENTE – vedi sotto” e nel corpo del messaggio una lunghissima serie di risposte e inoltri che devono essere letti, ovviamente a partire da quello più in fondo, per provare a capire la questione; tipicamente ci si capisce poco e a valle è necessaria una telefonata per farsi spiegare meglio le cose. Se le mail di questo genere sono diverse al giorno, si corre il serio rischio che il team di progetto passi il tempo a rispondere alle mail invece che a fare il proprio lavoro, perdendo di vista le proporzioni dei fatti e le priorità.

La disciplina mentale intrinseca nell’utilizzo dei prodotti di gestione di Prince2 mi è stata di aiuto in questi anni a sistemare molte situazioni del genere. Scrivere bene o far scrivere bene, per esempio, un Rapporto su una Questione, magari creando un opportuno modello standard di mail in forma schematica tabellare, archiviando le mail ‘Questione’ in un’apposita cartella di Outlook e poi utilizzando la cartella stessa come Registro delle Questioni, ha di norma aiutato me e i miei team a definire a monte impatto, priorità e gravità delle questioni, consentire una rapida lettura e una altrettanto rapida individuazione delle azioni necessarie per la gestione, recuperando efficienza ed aumentando in efficacia.

Approccio analogo ho adottato per tutti gli altri scambi di informazione all’interno del progetto, con risultati similari. La cosa fondamentale si è però rivelata la formalizzazione di tali strumenti e modalità di comunicazione all’interno di una Strategia di Gestione della Comunicazione, in modo tale che ci fosse una condivisione e una legittimazione a livello aziendale.

Come nel caso illustre del Memorandum del Primo Ministro quotato all’inizio dell’articolo (del quale suggerisco la lettura integrale, è un piccolo capolavoro), l’impatto sull’organizzazione è tutto diverso se la Strategia di Comunicazione è firmata dal Primo Ministro in persona.

Prince2 e capacità decisionale

“La squadra che voglio è quella in cui, in un determinato momento e di fronte a una determinata situazione, tutti i giocatori pensano in funzione della stessa cosa simultaneamente: questo è gioco di squadra, questa è organizzazione di gioco.”
José Mourinho

Prince2 on the football Pitch!Approdando in azienda come Prince2 Practitioner ci si trova spesso di fronte a una mal riposta speranza nell’uomo della provvidenza, come se l’applicazione di un metodo garantisse in se stessa l’eliminazione di incertezze, rischi e imprevisti di progetto, che invece sono ineliminabili perché fanno parte della natura delle cose. Se non si possono eliminare, incertezze, rischi e imprevisti si possono però gestire al meglio mediante un metodo opportuno.

Prince2 non elimina l’incertezza dei progetti, ma aumenta la consapevolezza e di conseguenza aumenta la capacità decisionale e quindi in cascata il controllo sugli eventi che possono impattare i progetti.

Talvolta ho la sensazione che Prince2 cominci davvero a funzionare quando si può smettere di applicarlo, nel senso che nella mia esperienza si giunge sempre a un punto di maturazione in cui i princìpi di Prince2 sono stati talmente interiorizzati dalle persone coinvolte nei progetti, che allentando le redini dei processi di controllo, che pure Prince2 prevede, si riesce comunque a mantenere il controllo degli eventi e nel contempo si aumenta l’efficienza di gestione.

La spiegazione che mi sono dato per questo effetto paradossale è che la forza del metodo risiede davvero nei suoi princìpi, che una volta interiorizzati determinano nelle persone uno ‘stato mentale’ che induce automaticamente, quasi istintivamente, il controllo delle situazioni e delle variabili corrette. In sostanza è aumentata la capacità decisionale e le persone sanno in qualunque momento e in qualunque situazione cosa fare per controllare i progetti, un po’ come l’allenatore sopracitato si aspetta  che avvenga in una partita di calcio giocata sul prato di Stamford Bridge.

Organizzazione e project management per sopperire alla mancanza di qualità

Un giorno un anziano ex dirigente di azienda – che mi stava dando dei consigli circa un progetto che era finito in un insuccesso del quale tendevo ad attribuire la causa alla scarsa qualità delle persone coinvolte – mi disse:

“il bravo fornaio sa fare il pane buono con la farina che ha, anche se questa non è di grande qualità”.

Gioco di squadraHo riflettuto spesso su questo spunto e mi è tornato di nuovo in mente guardando i recenti campionati del mondo di calcio, nei quali si sono viste squadre che sopperivano con l’organizzazione alla mancanza di qualità.

In effetti è così, per fare un confronto lampante preso da un passato più o meno recente, o sei l’Argentina di Maradona (con in squadra un genio che da solo risolve le partite) o sei la Grecia che ha vinto una volta il campionato europeo con una squadra di giocatori appena discreti e però un’organizzazione di squadra quasi militare.

In fondo anche il mio essere un maratoneta segue questa filosofia, perché non ho né il talento né la struttura fisica del maratoneta, però con metodo e organizzazione ho potuto raggiungere risultati impensabili a priori.

Il parallelo aziendale va alle aziende familiari che in questo periodo storico, a 50-60 dal boom economico, di frequente si trovano ad affrontare un ricambio generazionale: in molti casi queste aziende sono state create da imprenditori talentuosi che hanno giocato da soli e con iniziative spesso geniali, favorite dal momento storico, hanno costruito floride aziende e creato ricchezza; ma la sopravvivenza e la prosperità futura delle stesse aziende sono spesso date dalla capacità da parte degli eredi, con meno talento e in tempi più difficili, di affidarsi all’organizzazione per costruire una squadra che sappia raggiungere obiettivi ambiziosi applicandosi con metodo, e costanza.

Il project management è a supporto di questo tipo di approccio, forse meno creativo ma sicuramente efficace.

La metafora del rugby e il project management

rugby

Mi sono avvicinato al mondo del rugby perché lo praticano i miei figli e non credo di avere scoperto nulla di sorprendente nell’accostare il rugby al project management e nel vedere in questo sport una valida metafora utile alla comprensione dei metodi organizzativi.

Il rugby ha tutto: struttura di governance, gioco di squadra, agilità (tanto che i metodi Scrum prendono il nome dal concetto di mischia mutuato proprio dal rugby), tenuta mentale, capacità di resistere ai colpi e può essere sempre una valida metafora anche per quanto riguarda la pianificazione.

In particolare, in una fase molto critica di un progetto, ho recentemente compreso più a fondo e sperimentato il concetto che in gergo rugbistico chiamano di ‘sostegno‘. Ne avevo sentito parlare per la prima volta tempo fa, chiacchierando a cena con i figli, e mi aveva incuriosito.

Cosa è il sostegno? Cito una spiegazione che ho trovato in rete e mi è piaciuta:

“Quando chi possiede la palla è in difficoltà, i suoi compagni lo aiutano e nel fondersi con lui fanno nascere la solidarietà dei corpi, dove il giocatore non è mai lasciato solo. Questo sostegno ha un senso sociale prima che tecnico: si deve aiutare il compagno quando è in difficoltà. Non si può lasciarlo solo e ogni giocatore deve anticipare il proprio intervento per evitare che egli perda il pallone, perché l’altra squadra ha il diritto di intervenire e recuperare questo pallone. E’ la qualità umana e tecnica di questi sostegni che porterà alla conservazione o al recupero del pallone. <…> Ogni giocatore è sempre utile, mai inattivo, sempre vigile e attento: pensa per sé e per gli altri.”

Nel corso del mio progetto ho avuto la fortuna di lavorare con una squadra competente, coesa e ricca di valori umani; e il giorno della chiusura di una fase particolarmente importante, che non era iniziato sotto i migliori auspici, ho davvero avuto la sensazione che grazie al sostegno di tutta la squadra sono riuscito a raggiungere la meta per un pertugio dove fino all’ultimo mi era parso difficile poter passare.