Può un’idea geniale e creativa risolvere un progetto?

“Buscar el levante por el poniente”  Cristoforo Colombo

2015-09-01 06.56.59Mi è capitato, a fronte della mia proposta di applicazione di metodologie strutturate di project management, di sentirmi obiettare che per la riuscita dei progetti, più che di metodologie, occorre competenza nel merito e alle volte anche un’idea geniale e creativa.

E’ vero che le competenze di merito e le idee creative sono importanti, ma questo non è in contraddizione con l’applicazione di un metodo per la gestione strutturata dei progetti. Anzi, è vero il contrario.

Prince2, come anche altre metodologie quali PMBoK o Praxis Framework, invita alla gestione strutturata dei rischi, siano essi a impatto negativo (minacce) o che siano invece a impatto positivo (opportunità). E’ proprio questa ultima categoria che spesso viene trascurata e che deve invece essere compresa meglio.

Una gestione opportuna (identificazione, valutazione, pianificazione e implementazione di azioni di risposta) permette di classificare secondo logiche di valore i vari rischi-opportunità che si presentano – magari anche identificati tramite intuizioni geniali di qualche partecipante al progetto! – e di definire adeguate strategie e azioni di risposta per condividere, aumentare o sfruttare le opportunità che si sono presentate.

Un metodo rigoroso permette di catturare meglio e prima le intuizioni, di non disperderle e di stimolare il pensiero di tutti alla continua elaborazione di idee che possano essere funzionali alla riuscita del progetto. La classificazione per logiche di valore permette quindi di focalizzarsi sulle migliori opportunità, concentrando su di esse gli sforzi e le risorse a disposizione.

Anche l’opera di Cristoforo Colombo di “buscar el levante por el poniente” può essere annoverata tra i casi illustri di gestione virtuosa dei rischi-opportunità. Isabella di Castiglia ha saputo cogliere il valore potenziale dell’intuizione di Colombo, ma soprattutto ha saputo lavorare in modo strutturato per sfruttare al meglio il rischio-opportunità che le si era presentato.

 

Prince2, le start-up e i progetti innovativi

“Sometimes when you innovate, you make mistakes. It’s best to admit them quickly and get on with improving your other innovations.”
Steve Jobs

Steve JobsCome già illustrato nel precedente post, Prince2 non elimina i rischi di progetto e nemmeno può eliminare le situazioni che possono far deviare un progetto dai piani previsti. Prince2 permette sicuramente però di condurre i progetti in un ambiente controllato, gestendo opportunamente le deviazioni dai piani previsti e anche fornendo i razionali per fermarli subito se non hanno più la prospettiva di produrre i benefici sperati.

Ho imparato per esperienza diretta che l’affermazione di Jobs è profondamente vera, la strada verso l’autentica innovazione è un susseguirsi di approssimazioni successive ed è inevitabilmente lastricata di errori.
Utilizzare l’approccio Prince2 a livello strategico, in contesti innovativi e fortemente a rischio come quelli delle start-up, mi ha fornito il metodo e gli strumenti per mantenere le necessarie lucidità e capacità di valutazione e giudizio per passare rapidamente al progetto successivo quando era necessario e ha quindi facilitato il concentrarsi progressivo degli sforzi sui progetti che potevano dare i migliori risultati e i maggiori benefici.

Il portato di Prince2 nei contesti innovativi si traduce quindi a livello di mentalità operativa, nel non lasciare cuocere a fuoco lento i progetti se già si vede che non daranno frutti positivi: meglio ammetterlo velocemente e passare oltre.

I progetti e la gestione dei rischi

Ritorno sul tema dei rischi perché a mio modo di vedere non si finisce mai di parlarne abbastanza.  L’occasione per parlarne è stato il webinar per Aula PMI che ho tenuto lo scorso 19 maggio sull’argomento e del quale può essere vista la registrazione sul portale Microsoft cliccando qui.

objectsinmirrorQuesto webinar segna uno stacco rispetto al passato, per la prima volta ho utilizzato la maratona come caso esemplificativo a cui applicare i vari argomenti trattati, per cui la metafora del podista è stata il filo conduttore di tutta la trattazione. Ovviamente i riferimenti nei miei pensieri andavano tutti alla maratona corsa il mese scorso, sicuramente ricca di spunti sul tema (per usare un eufemismo!), come già ampiamente spiegato nel mio precedente post.

Insieme ai partecipanti ci siamo chiesti qual è l’origine dei rischi, come analizzare le varie cause e come tenerne traccia. Poi siamo passati ad analizzare gli impatti, le relazioni causa effetto e le possibili azioni di risposta. Infine abbiamo toccato il tema del controllo dei rischi.

Parlare una volta ancora di rischi e delle loro misure, la probabilità e la prossimità, mi ha fatto venire in mente un’immagine rappresentativa che ho riportato nella foto qui sopra, ovvero quella tipica frase che c’è scritta nei retrovisori delle automobili americane: “gli oggetti nel retrovisore sono più vicini di quanto possano apparire”. La mia esperienza, e me ne convinco ogni giorno di più, è che le stime di probabilità e prossimità sono sempre troppo ottimistiche, anche i rischi sono sempre più vicini di quanto possano apparire. Questa frase andrebbe scritta nel ‘retrovisore’ di tutti i project manager.

Risolvere le issue di progetto e salvare progetti compromessi

Domenica scorsa ho avuto modo di sperimentare molto in pratica come una issue totalmente imprevista (il caldo intorno ai 30°C ad aprile) possa mettere compromettere completamente il rollout di un progetto (la mia maratona di Milano, che avevo preparato con tanta cura). Non che il caldo sia arrivato proprio all’improvviso, ma quando si è saputo che sarebbe arrivato era ormai troppo tardi per adottare misure preventive e non restava che provare a gestire la situazione.

7143699_sE così domenica mattina mi sono avviato verso la partenza cercando di capire quale potesse essere una strategia sensata per mettere in pratica tutte le raccomandazioni di prudenza del mio allenatore. Avendo come sempre suddiviso la prova in fasi (due fasi iniziali di 10 km ciascuna, seguite da 4 fasi di 5 km ciascuna e un ultima fase di 2.195 km) ho pensato che nella prima delle fasi  avrei tenuto più o meno il ritmo previsto, cercando di approfittare del clima relativamente più fresco e ventilato. Così ho fatto anche se al decimo chilometro, mentre facevo il mio primo consuntivo e valutavo i margini di tolleranza sul ritmo tenuto e il budget di rischio ancora a disposizione, mi sono reso conto che stavo consumando più effort del previsto e per le fasi successive ho deciso di abbassare il ritmo di 5 secondi al chilometro. Mi sembrava una buona stima per una buona valutazione del rischio e invece il calcolo era di nuovo errato: al km 29, sotto il sole a picco, è sopraggiunta inesorabile la issue di progetto, sono andato in crisi e mi sono ritrovato in eccezione con tutti i piani saltati.

Quindi al km 30 sono stato costretto a un SAL d’urgenza per capire se il business case del progetto stava ancora in piedi e per cercare di predisporre un exception plan. In quella situazione 12 km ancora da percorrere sembravano veramente tanti, il tempo finale non sarebbe stato buono e il punto era: vale la pena l’effort per l’unico beneficio residuo, ovvero quello di essere comunque arrivato in fondo? Ho pensato che sì, la soddisfazione di farcela comunque valeva lo sforzo e ho predisposto l’exception plan: ritmo blando, bagnarsi spesso, fermarsi a tutti i ristori, mangiare e soprattutto bere molto. Le tre fasi rimanenti (le due di 5 km e l’ultima di 2,195 km) a quel punto le ho collassate in un unica fase e ho ‘navigato a vista’, tenendo sotto stretto controllo le sensazioni.

Così facendo ho completato la mia maratona nonostante tutto, e in un tempo nemmeno così malvagio viste le circostanze. Certo, ho mancato l’obiettivo (e beneficio) principale che era quello battere il mio personale e questo mi costringerà a mettere in cantiere un altro progetto…..

Il project management, il sogno di Itaca e la gestione dei rischi

Ogni tanto mi chiedo perché la maratona abbia sempre esercitato e continui ad esercitare su di me tanto fascino. Me lo sono chiesto anche quando ho letto uno dei post più recenti dell’amico Walter Allievi sul suo blog, dal titolo Il sogno di Itaca: perseguite gli obiettivi, ma godetevi il processo, che mi ha suggerito una  possibile spiegazione. La maratona mi affascina perché è un po’ un viaggio verso l’ignoto, ha qualcosa in comune con l’Odissea, che infatti è stata sempre una delle mie letture preferite.

“Qualunque sia il vostro lavoro o il vostro percorso di vita, abbiate un sogno. Perseguitelo e nel farlo godetevi il viaggio.”

E’ proprio così, la maratona è affascinante perché è un sogno, ed è bello godersi il viaggio, come ha fatto Ulisse. E il project management? Anche il project management è un po’ un viaggio verso l’ignoto, con la sua buona dose di fascino e un sogno, il progetto, da realizzare.

Non a caso nella gestione di tutti i progetti e soprattutto in quelli di rivolti al cambiamento in azienda gioca un ruolo fondamentale l’elemento dell’imprevedibilità, da cui l’importanza della valutazione e gestione dei rischi, presenti sempre in quantità superiori rispetto a quanto accade nella normale operatività aziendale.

Mi sorprende sempre quanto questo elemento venga sottovalutato. L’andare verso l’ignoto è sicuramente una parte molto affascinante dei progetti, ma è molto importante tentare di mitigare gli effetti dell’imprevedibilità per evitare che il sogno si trasformi in un incubo. Gli atteggiamenti che vanno per la maggiore sono invece la spericolatezza (per non dire l’incoscienza) di prendersi i rischi senza fare calcoli oppure il rifiuto del rischio e quindi la rinuncia sistematica all’azione e al sogno. A bene vedere poi sono spesso le stesse persone che oscillano da un atteggiamento all’altro, seguendo la ‘filosofia dello struzzo’: occhio non vede cuore non duole.

Salvo poi sorprendersi davanti al verificarsi degli inconvenienti e andare alla ricerca degli alibi più surreali per giustificare il proprio operato.  Quante volte mi sono sentito proporre iniziative di business da persone che davanti ad elementari obiezioni in merito alla valutazione dei rischi mi hanno opposto un disarmante “ma mica facciamo le cose perché vadano male, vedrai che andranno bene”. Già, e se poi invece male ci vanno per davvero, abbiamo valutato come fare fronte alla situazione? Cercando di vedere il lato umoristico della cosa, sono arrivato alla conclusione che queste sono le stesse persone che se non fossero obbligate non assicurerebbero la propria automobile. Per mia fortuna ho lavorato con gli operatori del mondo del private equity e una cosa che mi hanno insegnato è che a ogni way-in deve corrispondere sempre una way-out solida e sostenibile.

La maratona e tutti gli sport di resistenza ci insegnano la pratica quotidiana della gestione del rischio e ci offrono un meraviglioso banco di prova per allenare la nostra sensibilità al rischio e ai tanti elementi che lo possono determinare: svolgendo una attività al limite non si può sbagliare, se si ‘tira’ troppo non si arriva in fondo. Anche Ulisse lo sapeva e nell’episodio delle sirene, riportato in figura, non ha lasciato nulla al caso, ha gestito bene i rischi, si è potuto godere davvero il viaggio e ha infine raggiunto il suo sogno.

La gestione del rischio è importante perché, come la tragedia giapponese di questi giorni ci sta insegnando, gli elementi che possono fare andare fuori controllo un progetto possono essere molti.

La maratona e la messa in esercizio dei progetti

nyDomenica 7 è stato il grande giorno e ho finalmente corso la maratona di New York. Parlandone con amici e colleghi tutti rimangono maggiormente colpiti dalla corsa in sé, da come si svolge e dalle sue dinamiche, ma la corsa è solo la messa in esercizio di un progetto che nel migliore dei casi comporta sei-dieci mesi di lavoro. Nel mio caso ho fatto il conto che in termini gestionali il progetto “Maratona di New York” ha comportato all’incirca un impegno di 500 ore/uomo distribuite su un tempo di calendario di 18 mesi. Un progetto quindi che ha richiesto una lunga preparazione e un lavoro considerevole, per poi essere messo in esercizio in poche ore in cui ci si gioca tutta la qualità dell’output erogato.

Ci pensavo durante i primi chilometri mentre attraversavo il quartiere di Brooklyn e avvertivo il disagio delle prime folate di aria fredda: cercavo di capire quanto l’attenta preparazione svolta mi mettesse al riparo dai rischi che sono sempre dietro l’angolo. L’analogia con i progetti che mi trovo normalmente a gestire era lampante, si lavora ad esempio per mesi per preparare una soluzione informatica e negli ultimi giorni si va  in esercizio, la si rilascia in un ambiente di esercizio (normalmente diverso e più ostico di quello di collaudo) e i margini di recupero sugli eventuali inconvenienti sono risicatissimi, si rischia il fallimento del progetto per un nonnulla.

A quel punto mi sono venuti in aiuto due aspetti comuni con il project management: la strategia di rilascio del progetto con una particolare focalizzazione sulla gestione delle variabili: costo (lo sforzo fisico impegnato), tempo, qualità e ambito (azione di corsa e ritmo), rischi e benefici (arrivare, in buone condizioni e in un tempo ragionevole). Potrà sembrare strano ma nel complesso si può dire che ho applicato dei principi simili a quelli codificati nella metodologia PRINCE2: ho suddiviso la prova in fasi (nel mio caso rispettivamente due fasi iniziali di 10 km ciascuna, seguite da 4 fasi di 5 km ciascuna e un ultima fase di 2.195 km) e le ho gestite  come fossero delle corse a sé stanti.  Questo mi ha permesso di controllare molto meglio il mio stato fisico, la mia azione di corsa, di gestire molto meglio la disponibilità di risorse e i margini relativi e quindi di avere un miglior controllo sui rischi eventuali. Al termine di ciascuna fase ‘resettavo’ il progetto, valutavo i margini di tolleranza sul ritmo tenuto e il ‘budget di rischio’ ancora a disposizione. Con questo sono riuscito a gestire e risolvere al meglio tutti gli inconvenienti che si sono presentati (aria fredda a tratti e in due momenti un paio di problemi articolari) e ad arrivare al traguardo che avevo ancora un leggero margine da spendere.

Il tutto però a funzionato perché era stato debitamente provato e riprovato in allenamento, sotto la guida di un allenatore esperto!

Progettare gli acquisti e le vendite internazionali

Nella mia esperienza professionale ho avuto modo di occuparmi anche di progetti che riguardavano lo sviluppo della presenza internazionale delle imprese. Insieme ad un collega inglese esperto di commercio internazionale abbiamo messo a punto nel corso degli anni una metodologia modulare di supporto allo sviluppo commerciale che si basa su un forte elemento di project management.

Hong Kong - la porta della CinaIl punto di partenza era stata la constatazione di quanto poco i progetti commerciali internazionali delle aziende vengano gestiti e controllati, sia che si tratti di progetti di espansione commerciale, sia che si tratti di progetti di delocalizzazione produttiva. Si era constatato come il concetto di business case, quindi di controllo rigoroso dei costi/benefici, che dovrebbe essere la stella polare di un progetto, soprattutto se commerciale, fosse gestito nella maggior parte dei casi in maniera abbastanza approssimativa e nebulosa.

Da un lavoro svolto in collaborazione con una primaria banca italiana a supporto di circa 50 medie aziende attive a livello internazionale era risultato che il livello di applicazione di metodiche di pianificazione strategica e controllo dei progetti era piuttosto scarso. Il quadro che ne usciva rivelava una forte capacità di ‘arrangiarsi’ ma con una scarsa applicazione di metodiche strutturate. Aree cruciali quali la pianificazione strategica di breve e lungo periodo,  i piani di supporto alla distribuzione locale, le metodiche di controllo della distribuzione locale, i piani riguardanti la ricerca e sviluppo, la gestione dei rischi e la pianificazione finanziaria del rientro sugli investimenti erano presidiate in modo approssimativo.

Ne è nata quindi l’idea di strutturare un’apposita offerta di consulenza e formazione per rinforzare nelle aziende la capacità di affrontare i mercati internazionali forti di linee guida e strumenti di project management adeguati: abbiamo inventato quindi il sistema modulare che nella sua semplicità è  forte di step ben definiti e checklist operative che consentono l’attuazione di una vera e propria ‘strategia da sbarco’ commerciale e produttiva. Nel tempo si è affinato e reso maggiormente robusto il modello andando ad integrare elementi delle best practice PRINCE2 e PMBoK.

Alla prova dei fatti il modello ha dimostrato la propria validità, ma sopratutto ha dimostrato che anche i progetti commerciali necessitano di solide basi di project management.

Chi fosse interessato avrà modo di approfondire e dibattere con me il tema seguendo il mio webinar del 26 ottobre dal titolo Progettare gli acquisti e le vendite internazionali (live alle ore 16.00) sul portale di Microsoft Aula PMI, che potete raggiungere cliccando su questo link.

Anche il Project Management è una questione di dettagli

Mi sono sorpreso a citare Mourinho durante un corso di formazione. Non che segua particolarmente il calcio: sono diventato interista da bambino e ancora oggi ho un debole per le vicende che riguardano la beneamata, al lunedì sbircio i risultati della domenica calcistica, ma tutto finisce lì.
Però mi ha veramente incuriosito l’arrivo sulla panchina dell’inter di quel personaggio pirotecnico che è lo special one.
Al di la del clamore mediatico suscitato dalle sue conferenze stampa a effetto, la cosa che mi ha colpito e di cui si parla poco è il suo metodo di lavoro. Tanto che volevo andare a studiarlo ad appiano gentile ma non ho fatto in tempo, mi toccherà andare a madrid.
‘la champions è la competizione dei dettagli’ disse in una delle prime interviste. Sembrava un modo di dire, ma ha poi dimostrato che era così. Lavorando in modo ultra meticoloso è riuscito a realizzare un progetto che era riuscito a nessuno per mezzo secolo.
Facendo cosa? Applicando in maniera metodica e sistematica i dettami della buona gestione di progetto. Programmazione gestione riscj, gestione team
Forse perche di scuola anglosassone

Mi sono sorpreso a citare Mourinho durante un corso di formazione. Ma come, mi sono detto, proprio io che mi sono sempre autoimposto di non usare metafore calcistiche nei corsi di formazione, come codice di condotta per evitare inutili discorsi da bar sport? Oltretutto non seguo particolarmente il calcio. Sono blandamente interista fin da bambino e ancora oggi ho un debole per le vicende che riguardano la beneamata: al lunedì mattina sbircio sui giornali free-press i risultati della domenica calcistica, ma tutto finisce lì.

Devo confessare che però mi ha veramente incuriosito l’arrivo sulla panchina dell’Inter di quel personaggio pirotecnico che è lo ‘Special One’, che avevo scoperto qualche anno prima, leggendone le gesta sui giornali inglesi.
Al di là del clamore mediatico suscitato dalle sue conferenze stampa, la cosa che mi ha colpito e di cui si parla in realtà poco è il suo metodo di lavoro. Tanto che volevo andare una volta o l’altra a studiarlo meglio ad Appiano Gentile ma non ho fatto in tempo, mi toccherà andare a Madrid o chissà dove.

“La Champions League è la competizione dei dettagli, che possono condizionare e determinare una vittoria o una sconfitta. E’ il concetto che più o meno ha espresso in una delle sue prime interviste in Italia e che periodicamente ancora oggi ribadisce. Fu ovviamente accusato di cercare alibi e un alibi sarebbe stato se la frase fosse stata pronunciata da uno che non pratica la programmazione e la pianificazione. Sappiamo come è andata a finire: con il lavoro di pianificazione ultra meticoloso, sui dettagli appunto, è riuscito a realizzare un progetto che non era riuscito a nessuno per mezzo secolo.

Forse perché è cresciuto alla scuola anglo/olandese (tali sono stati, per sua stessa ammissione, i suoi primi maestri), forse perché è semplicemente la sua mentalità, ma sta di fatto che il modo di lavorare di questo personaggio offre una quantità di spunti di apprendimento per chi deve gestire i progetti. Facendo attenzione a quello che dice, al di là delle frasi a effetto, ci parla di come si gestisce un progetto: nelle sue interviste ho sentito parlare di pianificazione di lungo periodo (aveva in mente un’idea di gioco e ha insistito fino a che lo ha ottenuto, in soli due anni, con tutti che giocano a memoria), di pianificazione di breve (la preparazione della partita, studiando gli avversari per ore e ore), di gestione dei rischi (le varie opzioni di sostituzione dei giocatori, già previste per tutte le situazioni possibili), di opzioni di progetto (svariati modi di mettere la squadra in campo), di job rotation (tutti devono saper fare tutto), di gestione del team (un affiatamento quasi tribale), di strategia di comunicazione (occorre commentare?) e mi sto sicuramente dimenticando qualcosa. Quest’uomo vince perché applica in maniera metodica e sistematica i dettami della buona gestione di progetto. Mourinho ha diviso l’Italia in fan appassionati e detrattori feroci, ma non so quanti hanno colto questo aspetto, su cui ci ha insegnato sicuramente qualcosa, perché anche il project management è una questione di dettagli.

Anche l’uscita di scena è stato un esempio di gestione di progetto: i progetti vanno chiusi, va tirata una riga e va detta la parola fine. D’accordo, lo ha fatto in maniera frettolosa e poco elegante, ma quanti progetti invece si trascinano e dopo anni che hanno esaurito il loro compito e il loro significato continuano a ‘sanguinare’ inutilmente, consumando risorse solo per mantenere rendite di posizione per coloro che ne fanno parte, che semplicemente non hanno voglia di rimettersi in gioco con altre sfide? Al proposito vi invito ad ascoltare anche l’audiopost che Enrico Bertolino ha pubblicato sul Sole24Ore e che riporto qui sotto, illuminante.