consapevolezza e controllo dei progetti

In questi tempi di crisi economica mi trovo a fare i conti sempre più spesso con un avversario subdolo ma dall’effetto dirompente nelle organizzazioni: la paura di affrontare la realtà per quella che è e fare delle scelte conseguenti. Sempre più spesso suggerisco quindi la visione del film “The Matrix” (il primo della trilogia) e in particolare della scena cruciale che potete rivedere qui sotto.

Ogni volta che in azienda sviluppo soluzioni di project management, funziona più o meno nello stesso modo, presto o tardi mi trovo a citare Morpheus:

Adesso ti dico perché sei qui. Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra, nel mondo. Non sai bene di che si tratta ma l’avverti. È un chiodo fisso nel cervello. Da diventarci matto. È questa sensazione che ti ha portato da me. Tu sai di cosa sto parlando. <….> Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

Mi chiamano a occuparmi della gestione dei progetti perché c’è un’intuizione, qualcuno capisce che c’è qualcosa che non quadra e va fatto quadrare e allora chiamano un esperto. Ma dopo un po’ che sono arrivato io con la mia pillola rossa, ovvero la consapevolezza data da un reale controllo dei progetti, arrivano anche lo shock e la paura di affrontare la verità.

Qui, secondo me, sta il nocciolo di come si è innescata e di come si alimenta per molti versi la crisi attuale. Troppe volte mi trovo di fronte a persone che sono poco attrezzate mentalmente a reggere la pressione che è data dalla consapevolezza della verità, hanno paura di affrontarla e sono irresistibilmente attratte dalla rassicurante anestesia della pillola azzurra. Ma come spiego loro, dalla crisi si esce solo prendendo la pillola rossa, facendo i conti con la verità, essendo capaci di scelte coraggiose.

Ho già scritto in passato – nel post “I progetti e l’intensità di lavoro” – della necessità di allenarsi a lavorare in intensità e sotto pressione, preparandosi per tempo. Diventare maratoneta, per me che non ho velleità agonistiche, è stato anche un modo per prendere la pillola rossa, a modo mio volevo sapere se potevo spostarmi per lunghe distanze affrancandomi dalla schiavitù delle macchine, rappresentate simbolicamente dall’automobile. E con questo ho scoperto i vantaggi che l’allenamento a reggere la pressione fisica e mentale per lungo tempo dà nell’affrontare e vincere la paura delle verità scomode della vita professionale e personale.

 

I nostri progetti e il futuro

IlFuturoNon

In genere non amo i graffiti. Non mi piace che i writer scrivano sui muri della città dove vivo causando fastidio e indebiti costi di pulizia a chi non necessariamente apprezza la loro arte.
Però devo ammettere che sabato mattina, mentre correvo su un cavalcavia e questa scritta mi è sbucata quasi all’improvviso nella nebbia, è stata un’illuminazione e mi sono fermato a fotografarla. In realtà, ho scoperto poi, la frase non è di un writer qualsiasi ma di ivan, ‘avanguardia di poesia di strada e assalto poetico’, come si definisce sul suo sito, personaggio piuttosto noto. E come si vede la scritta è stata a sua volta imbrattata da altri writer meno poetici.

Avendo dovuto vincere quella mattina la mancanza totale di voglia di abbandonare il lettuccio caldo per percorrere parecchi chilometri nella nebbia, mi ero immerso in riflessioni sugli alibi che noi tutti ci creiamo quando non vogliamo cambiare e facciamo resistenza. Se si va alla radice, questo è anche il problema principale da affrontare quando si introducono cambiamenti in azienda.  C’è sempre un buon alibi a disposizione, basta argomentarlo bene.

Questa frase, nel suo essere paradossale, può essere l’ennesimo alibi oppure spazzarli via tutti. Perché se mai il futuro è stato ‘quello di una volta’ oggi il mondo è cambiato, è diventato meno prevedibile e il futuro dobbiamo imparare a costruircelo. E questo ci costringe a pensare di più al nostro progetto e a darci un metodo di project management, quale che sia.

Siamo noi i padroni del nostro destino, dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare sodo per cercare di gestire al meglio e ridurre l’imprevedibilità dei nostri progetti e del nostro futuro.

Anche il Project Management è una questione di dettagli

Mi sono sorpreso a citare Mourinho durante un corso di formazione. Non che segua particolarmente il calcio: sono diventato interista da bambino e ancora oggi ho un debole per le vicende che riguardano la beneamata, al lunedì sbircio i risultati della domenica calcistica, ma tutto finisce lì.
Però mi ha veramente incuriosito l’arrivo sulla panchina dell’inter di quel personaggio pirotecnico che è lo special one.
Al di la del clamore mediatico suscitato dalle sue conferenze stampa a effetto, la cosa che mi ha colpito e di cui si parla poco è il suo metodo di lavoro. Tanto che volevo andare a studiarlo ad appiano gentile ma non ho fatto in tempo, mi toccherà andare a madrid.
‘la champions è la competizione dei dettagli’ disse in una delle prime interviste. Sembrava un modo di dire, ma ha poi dimostrato che era così. Lavorando in modo ultra meticoloso è riuscito a realizzare un progetto che era riuscito a nessuno per mezzo secolo.
Facendo cosa? Applicando in maniera metodica e sistematica i dettami della buona gestione di progetto. Programmazione gestione riscj, gestione team
Forse perche di scuola anglosassone

Mi sono sorpreso a citare Mourinho durante un corso di formazione. Ma come, mi sono detto, proprio io che mi sono sempre autoimposto di non usare metafore calcistiche nei corsi di formazione, come codice di condotta per evitare inutili discorsi da bar sport? Oltretutto non seguo particolarmente il calcio. Sono blandamente interista fin da bambino e ancora oggi ho un debole per le vicende che riguardano la beneamata: al lunedì mattina sbircio sui giornali free-press i risultati della domenica calcistica, ma tutto finisce lì.

Devo confessare che però mi ha veramente incuriosito l’arrivo sulla panchina dell’Inter di quel personaggio pirotecnico che è lo ‘Special One’, che avevo scoperto qualche anno prima, leggendone le gesta sui giornali inglesi.
Al di là del clamore mediatico suscitato dalle sue conferenze stampa, la cosa che mi ha colpito e di cui si parla in realtà poco è il suo metodo di lavoro. Tanto che volevo andare una volta o l’altra a studiarlo meglio ad Appiano Gentile ma non ho fatto in tempo, mi toccherà andare a Madrid o chissà dove.

“La Champions League è la competizione dei dettagli, che possono condizionare e determinare una vittoria o una sconfitta. E’ il concetto che più o meno ha espresso in una delle sue prime interviste in Italia e che periodicamente ancora oggi ribadisce. Fu ovviamente accusato di cercare alibi e un alibi sarebbe stato se la frase fosse stata pronunciata da uno che non pratica la programmazione e la pianificazione. Sappiamo come è andata a finire: con il lavoro di pianificazione ultra meticoloso, sui dettagli appunto, è riuscito a realizzare un progetto che non era riuscito a nessuno per mezzo secolo.

Forse perché è cresciuto alla scuola anglo/olandese (tali sono stati, per sua stessa ammissione, i suoi primi maestri), forse perché è semplicemente la sua mentalità, ma sta di fatto che il modo di lavorare di questo personaggio offre una quantità di spunti di apprendimento per chi deve gestire i progetti. Facendo attenzione a quello che dice, al di là delle frasi a effetto, ci parla di come si gestisce un progetto: nelle sue interviste ho sentito parlare di pianificazione di lungo periodo (aveva in mente un’idea di gioco e ha insistito fino a che lo ha ottenuto, in soli due anni, con tutti che giocano a memoria), di pianificazione di breve (la preparazione della partita, studiando gli avversari per ore e ore), di gestione dei rischi (le varie opzioni di sostituzione dei giocatori, già previste per tutte le situazioni possibili), di opzioni di progetto (svariati modi di mettere la squadra in campo), di job rotation (tutti devono saper fare tutto), di gestione del team (un affiatamento quasi tribale), di strategia di comunicazione (occorre commentare?) e mi sto sicuramente dimenticando qualcosa. Quest’uomo vince perché applica in maniera metodica e sistematica i dettami della buona gestione di progetto. Mourinho ha diviso l’Italia in fan appassionati e detrattori feroci, ma non so quanti hanno colto questo aspetto, su cui ci ha insegnato sicuramente qualcosa, perché anche il project management è una questione di dettagli.

Anche l’uscita di scena è stato un esempio di gestione di progetto: i progetti vanno chiusi, va tirata una riga e va detta la parola fine. D’accordo, lo ha fatto in maniera frettolosa e poco elegante, ma quanti progetti invece si trascinano e dopo anni che hanno esaurito il loro compito e il loro significato continuano a ‘sanguinare’ inutilmente, consumando risorse solo per mantenere rendite di posizione per coloro che ne fanno parte, che semplicemente non hanno voglia di rimettersi in gioco con altre sfide? Al proposito vi invito ad ascoltare anche l’audiopost che Enrico Bertolino ha pubblicato sul Sole24Ore e che riporto qui sotto, illuminante.