Domenica scorsa ho avuto modo di sperimentare molto in pratica come una issue totalmente imprevista (il caldo intorno ai 30°C ad aprile) possa mettere compromettere completamente il rollout di un progetto (la mia maratona di Milano, che avevo preparato con tanta cura). Non che il caldo sia arrivato proprio all’improvviso, ma quando si è saputo che sarebbe arrivato era ormai troppo tardi per adottare misure preventive e non restava che provare a gestire la situazione.
E così domenica mattina mi sono avviato verso la partenza cercando di capire quale potesse essere una strategia sensata per mettere in pratica tutte le raccomandazioni di prudenza del mio allenatore. Avendo come sempre suddiviso la prova in fasi (due fasi iniziali di 10 km ciascuna, seguite da 4 fasi di 5 km ciascuna e un ultima fase di 2.195 km) ho pensato che nella prima delle fasi avrei tenuto più o meno il ritmo previsto, cercando di approfittare del clima relativamente più fresco e ventilato. Così ho fatto anche se al decimo chilometro, mentre facevo il mio primo consuntivo e valutavo i margini di tolleranza sul ritmo tenuto e il budget di rischio ancora a disposizione, mi sono reso conto che stavo consumando più effort del previsto e per le fasi successive ho deciso di abbassare il ritmo di 5 secondi al chilometro. Mi sembrava una buona stima per una buona valutazione del rischio e invece il calcolo era di nuovo errato: al km 29, sotto il sole a picco, è sopraggiunta inesorabile la issue di progetto, sono andato in crisi e mi sono ritrovato in eccezione con tutti i piani saltati.
Quindi al km 30 sono stato costretto a un SAL d’urgenza per capire se il business case del progetto stava ancora in piedi e per cercare di predisporre un exception plan. In quella situazione 12 km ancora da percorrere sembravano veramente tanti, il tempo finale non sarebbe stato buono e il punto era: vale la pena l’effort per l’unico beneficio residuo, ovvero quello di essere comunque arrivato in fondo? Ho pensato che sì, la soddisfazione di farcela comunque valeva lo sforzo e ho predisposto l’exception plan: ritmo blando, bagnarsi spesso, fermarsi a tutti i ristori, mangiare e soprattutto bere molto. Le tre fasi rimanenti (le due di 5 km e l’ultima di 2,195 km) a quel punto le ho collassate in un unica fase e ho ‘navigato a vista’, tenendo sotto stretto controllo le sensazioni.
Così facendo ho completato la mia maratona nonostante tutto, e in un tempo nemmeno così malvagio viste le circostanze. Certo, ho mancato l’obiettivo (e beneficio) principale che era quello battere il mio personale e questo mi costringerà a mettere in cantiere un altro progetto…..