In questo periodo mi trovo in una situazione lavorativa particolarmente intensa e la corsa diventa uno dei pochi momenti in cui riesco a mettere un po’ di ordine, soprattutto mentale, alle mille cose che devo inseguire. Naturalmente le mie riflessioni di questo periodo vanno al tema dell’intensità di lavoro nei progetti e di come sia necessario dare una direzione a questa intensità, perché non diventi tutto un inseguire vanamente le emergenze in modo disordinato.
In queste situazioni ci si rende conto una volta di più di come sia importante, per dirla con una illuminante metafora calcistica, evitare di correre come i forsennati dietro alla palla, ma cercare di mantenere la posizione e fare correre la palla al posto nostro. Se vogliamo è un concetto ovvio e banale, anche se in realtà è una di quelle cose che sono più difficili di quanto possa sembrare da mettere in pratica.
La verità è che il lavoro in intensità è una di quelle cose che occorre allenare, bisogna imparare a tenere la propria posizione sul campo anche sotto pressione, esercitando e mandando a memoria gli schemi di gioco. Fuor di metafora, è importante esercitare le procedure organizzative e mandare a memoria gli schemi di interazione tra gli attori di progetto quando la pressione è bassa, in modo tale da trovarsi con dei meccanismi organizzativi collaudati nel momento della maggior pressione. Solo così facendo ci si può aspettare che ciascuno tenga la posizione e sia in grado di dare il proprio contributo migliore a supporto del team e del progetto affinché il team sia coeso nel momento più difficile. E solo così è possibile, per mutuare un altro concetto sportivo, anche praticare il ‘recupero attivo’ altro elemento fondamentale per riprendere fiato quando si è sotto pressione, favorire il riequilibrio energetico e garantire la tenuta del team alla distanza.
Un collega (che in realtà poco sa delle arti marziali) mi ha fatto osservare l’altro giorno che a differenza delle arti marziali, che sono basate e favoriscono l’equilibrio energetico, la maratona no, “brucia” energia, è un’attività estremamente energivora. Devo ammettere che lì per lì mi sono trovato spiazzato da questa considerazione, mi pareva sensata e ineccepibile. Ho cominciato quindi a riflettere sull’equilibrio energetico all’interno delle varie attività, sportive e non, e sul senso stesso di equilibrio energetico.
Sono partito dalla constatazione che io sono in equilibrio energetico e, anzi, l’attività podistica mi ha favorito un maggiore equilibrio fisico e mentale a tutti i livelli. Il che sembra confermare l’ipotesi, non mia, che la maratona è una sorta di arte marziale, seppur in ‘salsa occidentale’, in contraddizione con quanto affermato dal collega. Ma dove trovare una spiegazione convincente? Ho provato ad affidarmi alla fisica riflettendo sui principi della termodinamica (vedi).
Cercando di semplificare, la fisica dice che data una quantità di energia immessa Q1 una macchina, per quanto efficiente possa essere, trasformerà in lavoro W solo una parte di questa energia mentre una parte Q2 sarà dispersa, tipicamente sotto forma di calore. Questo concetto descrive il funzionamento della cosiddetta “macchina di Carnot” e anche il corpo umano dell’atleta non sfugge al funzionamento di questo tipo.
In primissima approssimazione l’atleta durante la propria attività brucia energia (il pane e la pasta!), il Q1, ne trasforma una parte in lavoro (la corsa!), il W, e la restante parte la “butta fuori” sotto forma di calore Q2 che viene dissipato mediante il sudore.
A un’analisi più attenta ci si rende conto che l’energia non è trasformata tutta in lavoro utile in quel momento ma anche in lavoro ‘potenziale’, nel senso che nel corso del ciclo alimentazione-allenamento vengono immagazzinate in qualche modo energie sia fisiche che psichiche da utilizzare successivamente.
Un fattore ulteriore, comune ad altre discipline sportive, è che le energie fisiche e psichiche sono immagazzinate secondo modalità che permettano il loro utilizzo in modo molto direzionale e finalizzato.
Qui secondo me sta la vera analogia tra la maratona e le arti marziali: sono discipline che insegnano a gestire l’energia, a immagazzinarla per poterla utilizzare all’occorrenza, in una direzione bene precisa e con elevata intensità.
Sul suo interessante blog Formazione Marziale Walter Allievi fa al proposito una interessante analogia tra la metafora della maratona e quella del pugno: in effetti quello che cambia tra la maratona e il pugno sta ovviamente nella velocità di erogazione dell’intensità, in un caso si parla di qualche ora nell’altro di frazioni di secondo, ma sempre di azione direzionale e intensa si tratta, sono momenti in cui si ‘spara’ fuori tutta l’energia che si è accumulata in allenamento, sia mentale che fisica.
Allenarsi a gestire i progetti è un po’ la stessa cosa ed entrambe le metafore ci aiutano: perché il project management possa essere efficace e incisivo, occorre che il project manager sappia preparare e gestire le risorse in modo da orientare lo sforzo di progetto nella direzione corretta, alla giusta intensità e al momento giusto. Per poterlo fare però deve essersi allenato lui e deve avere allenato la propria squadra a una corretta gestione dei equilibri energetici di progetto che non sono da considerare solo in termini economici e di business case, ma riguardano tutte le risorse coinvolte: umane, tecniche, organizzative e, certo, anche economiche e finanziarie.
Anche i progetti, in definitiva, sono soggetti alle inesorabili leggi della termodinamica, anche se spesso tendiamo a dimenticarlo, forzando equilibri energetici insostenibili e sorprendendoci poi se il progetto ‘scoppia’.