Mi sono sorpreso a citare Mourinho durante un corso di formazione. Ma come, mi sono detto, proprio io che mi sono sempre autoimposto di non usare metafore calcistiche nei corsi di formazione, come codice di condotta per evitare inutili discorsi da bar sport? Oltretutto non seguo particolarmente il calcio. Sono blandamente interista fin da bambino e ancora oggi ho un debole per le vicende che riguardano la beneamata: al lunedì mattina sbircio sui giornali free-press i risultati della domenica calcistica, ma tutto finisce lì.
Devo confessare che però mi ha veramente incuriosito l’arrivo sulla panchina dell’Inter di quel personaggio pirotecnico che è lo ‘Special One’, che avevo scoperto qualche anno prima, leggendone le gesta sui giornali inglesi.
Al di là del clamore mediatico suscitato dalle sue conferenze stampa, la cosa che mi ha colpito e di cui si parla in realtà poco è il suo metodo di lavoro. Tanto che volevo andare una volta o l’altra a studiarlo meglio ad Appiano Gentile ma non ho fatto in tempo, mi toccherà andare a Madrid o chissà dove.
“La Champions League è la competizione dei dettagli“, che possono condizionare e determinare una vittoria o una sconfitta. E’ il concetto che più o meno ha espresso in una delle sue prime interviste in Italia e che periodicamente ancora oggi ribadisce. Fu ovviamente accusato di cercare alibi e un alibi sarebbe stato se la frase fosse stata pronunciata da uno che non pratica la programmazione e la pianificazione. Sappiamo come è andata a finire: con il lavoro di pianificazione ultra meticoloso, sui dettagli appunto, è riuscito a realizzare un progetto che non era riuscito a nessuno per mezzo secolo.
Forse perché è cresciuto alla scuola anglo/olandese (tali sono stati, per sua stessa ammissione, i suoi primi maestri), forse perché è semplicemente la sua mentalità, ma sta di fatto che il modo di lavorare di questo personaggio offre una quantità di spunti di apprendimento per chi deve gestire i progetti. Facendo attenzione a quello che dice, al di là delle frasi a effetto, ci parla di come si gestisce un progetto: nelle sue interviste ho sentito parlare di pianificazione di lungo periodo (aveva in mente un’idea di gioco e ha insistito fino a che lo ha ottenuto, in soli due anni, con tutti che giocano a memoria), di pianificazione di breve (la preparazione della partita, studiando gli avversari per ore e ore), di gestione dei rischi (le varie opzioni di sostituzione dei giocatori, già previste per tutte le situazioni possibili), di opzioni di progetto (svariati modi di mettere la squadra in campo), di job rotation (tutti devono saper fare tutto), di gestione del team (un affiatamento quasi tribale), di strategia di comunicazione (occorre commentare?) e mi sto sicuramente dimenticando qualcosa. Quest’uomo vince perché applica in maniera metodica e sistematica i dettami della buona gestione di progetto. Mourinho ha diviso l’Italia in fan appassionati e detrattori feroci, ma non so quanti hanno colto questo aspetto, su cui ci ha insegnato sicuramente qualcosa, perché anche il project management è una questione di dettagli.
Anche l’uscita di scena è stato un esempio di gestione di progetto: i progetti vanno chiusi, va tirata una riga e va detta la parola fine. D’accordo, lo ha fatto in maniera frettolosa e poco elegante, ma quanti progetti invece si trascinano e dopo anni che hanno esaurito il loro compito e il loro significato continuano a ‘sanguinare’ inutilmente, consumando risorse solo per mantenere rendite di posizione per coloro che ne fanno parte, che semplicemente non hanno voglia di rimettersi in gioco con altre sfide? Al proposito vi invito ad ascoltare anche l’audiopost che Enrico Bertolino ha pubblicato sul Sole24Ore e che riporto qui sotto, illuminante.