Prince2, le start-up e i progetti innovativi

“Sometimes when you innovate, you make mistakes. It’s best to admit them quickly and get on with improving your other innovations.”
Steve Jobs

Steve JobsCome già illustrato nel precedente post, Prince2 non elimina i rischi di progetto e nemmeno può eliminare le situazioni che possono far deviare un progetto dai piani previsti. Prince2 permette sicuramente però di condurre i progetti in un ambiente controllato, gestendo opportunamente le deviazioni dai piani previsti e anche fornendo i razionali per fermarli subito se non hanno più la prospettiva di produrre i benefici sperati.

Ho imparato per esperienza diretta che l’affermazione di Jobs è profondamente vera, la strada verso l’autentica innovazione è un susseguirsi di approssimazioni successive ed è inevitabilmente lastricata di errori.
Utilizzare l’approccio Prince2 a livello strategico, in contesti innovativi e fortemente a rischio come quelli delle start-up, mi ha fornito il metodo e gli strumenti per mantenere le necessarie lucidità e capacità di valutazione e giudizio per passare rapidamente al progetto successivo quando era necessario e ha quindi facilitato il concentrarsi progressivo degli sforzi sui progetti che potevano dare i migliori risultati e i maggiori benefici.

Il portato di Prince2 nei contesti innovativi si traduce quindi a livello di mentalità operativa, nel non lasciare cuocere a fuoco lento i progetti se già si vede che non daranno frutti positivi: meglio ammetterlo velocemente e passare oltre.

Prince2 e capacità decisionale

“La squadra che voglio è quella in cui, in un determinato momento e di fronte a una determinata situazione, tutti i giocatori pensano in funzione della stessa cosa simultaneamente: questo è gioco di squadra, questa è organizzazione di gioco.”
José Mourinho

Prince2 on the football Pitch!Approdando in azienda come Prince2 Practitioner ci si trova spesso di fronte a una mal riposta speranza nell’uomo della provvidenza, come se l’applicazione di un metodo garantisse in se stessa l’eliminazione di incertezze, rischi e imprevisti di progetto, che invece sono ineliminabili perché fanno parte della natura delle cose. Se non si possono eliminare, incertezze, rischi e imprevisti si possono però gestire al meglio mediante un metodo opportuno.

Prince2 non elimina l’incertezza dei progetti, ma aumenta la consapevolezza e di conseguenza aumenta la capacità decisionale e quindi in cascata il controllo sugli eventi che possono impattare i progetti.

Talvolta ho la sensazione che Prince2 cominci davvero a funzionare quando si può smettere di applicarlo, nel senso che nella mia esperienza si giunge sempre a un punto di maturazione in cui i princìpi di Prince2 sono stati talmente interiorizzati dalle persone coinvolte nei progetti, che allentando le redini dei processi di controllo, che pure Prince2 prevede, si riesce comunque a mantenere il controllo degli eventi e nel contempo si aumenta l’efficienza di gestione.

La spiegazione che mi sono dato per questo effetto paradossale è che la forza del metodo risiede davvero nei suoi princìpi, che una volta interiorizzati determinano nelle persone uno ‘stato mentale’ che induce automaticamente, quasi istintivamente, il controllo delle situazioni e delle variabili corrette. In sostanza è aumentata la capacità decisionale e le persone sanno in qualunque momento e in qualunque situazione cosa fare per controllare i progetti, un po’ come l’allenatore sopracitato si aspetta  che avvenga in una partita di calcio giocata sul prato di Stamford Bridge.

crisi economica, cambiamento aziendale e project management

Cambiare il trend aziendale

L’attuale perdurante crisi economica sta modificando assetti che abbiamo dato a lungo per scontati. Questo costringe molte aziende a gestire situazioni di cambiamento e cambiamento in azienda significa trovarsi immancabilmente a gestire progetti di una certa complessità, se non dei veri e propri turnaround.

Il riscontro sul campo è che dotando i responsabili aziendali di strumenti per affrontare efficacemente detti cambiamenti i risultati sono positivi e duraturi. Best practice consolidate di project management quali Prince2 e Agile PM, applicate in una combinazione opportuna, consentono un adeguato rigore di gestione e controllo del progetto nel suo complesso e del raggiungimento dei benefici attesi insieme al mantenimento di una opportuna flessibilità al livello operativo.

E’ un po’ come quando si corre la maratona in condizioni climatiche difficili, occorre adattare la propria azione di corsa alla situazione e al contesto che si evolve in continuazione, valutando bene cosa sia realisticamente possibile e opportuno fare secondo un approccio Agile, ma senza mai perdere di vista quelli che sono gli obiettivi e i benefici attesi, governando al meglio il rilascio del progetto sui 42km secondo un approccio più simile a Prince2, come avevo raccontato in un post di qualche anno fa.

Organizzazione e project management per sopperire alla mancanza di qualità

Un giorno un anziano ex dirigente di azienda – che mi stava dando dei consigli circa un progetto che era finito in un insuccesso del quale tendevo ad attribuire la causa alla scarsa qualità delle persone coinvolte – mi disse:

“il bravo fornaio sa fare il pane buono con la farina che ha, anche se questa non è di grande qualità”.

Gioco di squadraHo riflettuto spesso su questo spunto e mi è tornato di nuovo in mente guardando i recenti campionati del mondo di calcio, nei quali si sono viste squadre che sopperivano con l’organizzazione alla mancanza di qualità.

In effetti è così, per fare un confronto lampante preso da un passato più o meno recente, o sei l’Argentina di Maradona (con in squadra un genio che da solo risolve le partite) o sei la Grecia che ha vinto una volta il campionato europeo con una squadra di giocatori appena discreti e però un’organizzazione di squadra quasi militare.

In fondo anche il mio essere un maratoneta segue questa filosofia, perché non ho né il talento né la struttura fisica del maratoneta, però con metodo e organizzazione ho potuto raggiungere risultati impensabili a priori.

Il parallelo aziendale va alle aziende familiari che in questo periodo storico, a 50-60 dal boom economico, di frequente si trovano ad affrontare un ricambio generazionale: in molti casi queste aziende sono state create da imprenditori talentuosi che hanno giocato da soli e con iniziative spesso geniali, favorite dal momento storico, hanno costruito floride aziende e creato ricchezza; ma la sopravvivenza e la prosperità futura delle stesse aziende sono spesso date dalla capacità da parte degli eredi, con meno talento e in tempi più difficili, di affidarsi all’organizzazione per costruire una squadra che sappia raggiungere obiettivi ambiziosi applicandosi con metodo, e costanza.

Il project management è a supporto di questo tipo di approccio, forse meno creativo ma sicuramente efficace.

La metafora del rugby e il project management

rugby

Mi sono avvicinato al mondo del rugby perché lo praticano i miei figli e non credo di avere scoperto nulla di sorprendente nell’accostare il rugby al project management e nel vedere in questo sport una valida metafora utile alla comprensione dei metodi organizzativi.

Il rugby ha tutto: struttura di governance, gioco di squadra, agilità (tanto che i metodi Scrum prendono il nome dal concetto di mischia mutuato proprio dal rugby), tenuta mentale, capacità di resistere ai colpi e può essere sempre una valida metafora anche per quanto riguarda la pianificazione.

In particolare, in una fase molto critica di un progetto, ho recentemente compreso più a fondo e sperimentato il concetto che in gergo rugbistico chiamano di ‘sostegno‘. Ne avevo sentito parlare per la prima volta tempo fa, chiacchierando a cena con i figli, e mi aveva incuriosito.

Cosa è il sostegno? Cito una spiegazione che ho trovato in rete e mi è piaciuta:

“Quando chi possiede la palla è in difficoltà, i suoi compagni lo aiutano e nel fondersi con lui fanno nascere la solidarietà dei corpi, dove il giocatore non è mai lasciato solo. Questo sostegno ha un senso sociale prima che tecnico: si deve aiutare il compagno quando è in difficoltà. Non si può lasciarlo solo e ogni giocatore deve anticipare il proprio intervento per evitare che egli perda il pallone, perché l’altra squadra ha il diritto di intervenire e recuperare questo pallone. E’ la qualità umana e tecnica di questi sostegni che porterà alla conservazione o al recupero del pallone. <…> Ogni giocatore è sempre utile, mai inattivo, sempre vigile e attento: pensa per sé e per gli altri.”

Nel corso del mio progetto ho avuto la fortuna di lavorare con una squadra competente, coesa e ricca di valori umani; e il giorno della chiusura di una fase particolarmente importante, che non era iniziato sotto i migliori auspici, ho davvero avuto la sensazione che grazie al sostegno di tutta la squadra sono riuscito a raggiungere la meta per un pertugio dove fino all’ultimo mi era parso difficile poter passare.

Generare risparmi nella gestione dei progetti aziendali

La generazione di risparmi in azienda è un tema fondamentale in chiave strategica e lo diventa ogni giorno di più.

Nel corso degli anni abbiamo messo a punto insieme ad alcuni colleghi una metodologia, il 3D Performance, che coniuga alcune delle più efficaci metodologie di gestione dei progetti con strumenti di facilitazione e di empowerment delle risorse umane. Tre anni dopo averne parlato una prima volta sul blog ed esserci confrontati con clienti e colleghi in un laboratorio appositamente organizzato, il modello ha visto significative applicazioni ed è giunto a maturità.

Riproponiamo sinteticamente i risultati in un video realizzato per Aula PMI di Microsoft del quale si può prendere visione qui sotto e ne parleremo più diffusamente in un webcast che sarà trasmesso martedì 25 febbraio p.v. ore 14:30 in diretta dal portale Microsoft. Sarà possibile collegarsi al webcast sia da PC cliccando qui, sia da smartphone cliccando qui.

Possiamo anche incontrarci di persona in una delle giornate dedicate, delle quali trovate maggiori informazioni qui.

3D Performance si articola in tre fasi che caratterizzano la gestione del progetto, per ciascuna delle quali sono stati individuati strumenti specifici e adatti: prima di tutto l’analisi dell’esistente, finalizzata a “smontare” l’organizzazione, capire bene  il suo funzionamento attuale e le possibili aree di miglioramento; la seconda fase ha lo scopo di evolvere l’organizzazione, mediante lo studio di una nuova configurazione dei vari elementi tecnici, organizzativi e umani; infine la terza fase mette in azione la nuova organizzazione, monitorandola e sostenendola con un processo di miglioramento continuo e ottimizzazione.

Per garantirne l’efficacia, in ciascuno di questi tre passaggi occorre intervenire a vari livelli, sull’organizzazione e sui processi come sulle risorse umane: per questo utilizziamo un mix articolato di strumenti, metodologie e best practice. Mantenendo il focus sulla necessità di raggiungere significativi e misurabili risparmi in tempi rapidi.

Preparazione alla maratona, prioritizzazione MoSCoW e timeboxing

Ho già parlato in un precedente articolo di metodi agili e timeboxing. Nell’anno che si sta concludendo ho avuto davvero poco tempo per allenarmi, mi sono dovuto davvero imporre per farlo con una certa continuità e ho avuto quindi modo di sperimentare quasi quotidianamente  come, disponendo di tempi fissi e stretti, si renda necessario dare una priorità alle attività di allenamento.

In questo senso il metodo di lavoro adottato quest’anno ha aderito davvero a criteri di Agile Project Management, in particolare di prioritizzazione MoSCoW: tempi e costi fissi, ambito variabile e da prioritizzare in base a cosa sia indispensabile fare (Must have), auspicabile fare (Should have), possibile fare (Could have) e cosa invece si decide di non fare (Won’t have).

timeboxingLa scarsità di risorse mi ha imposto un “costo” fisso in termini di tempo-corsa erogabile, i tempi sono rimasti quelli prefissati fino al prossimo appuntamento podistico in primavera, in sostanza ho quindi dovuto lavorare sull’ambito ovvero sul risultato atteso e modulare, in funzione di quello che riuscivo a fare, il tipo di obiettivo da ottenere: potrebbe essere una 10km, una mezza maratona (21km) o una maratona intera (42km), la cosa importante è quella di rimanere focalizzato su un obiettivo che sia consistente e produca una valore effettivo (ovvero la forma necessaria per correre bene la corsa), poi l’entità del valore prodotto (la corsa da 10-21-42 km) dipenderà da quanto riuscirò a cambiare la scala del progetto e aumentare l’erogabile in termini di costo.

La morale è che sarebbe stato inutile darsi l’obiettivo di una maratona intera per poi arrivare a ridosso della gara con una preparazione scadente. Meglio andare per gradi e puntare per la stessa data a qualcosa di effettivamente raggiungibile e farlo bene, per poi progredire in modo incrementale e puntare nei mesi successivi a raggiungere la forma necessaria per raggiungere obiettivi più ambiziosi. La mia corsa, in questi tempi, è Agile.

Project Manager o Facilitatore?

Open Space TechnologyLo scorso 25 giugno un gruppo di professionisti di provenienza diversa si è incontrato a Milano all’evento IAF Italy si presenta (link). Si è discusso di svariati temi – utilizzando la interessante tecnica dell’Open Space Technology (link) – che mi hanno fornito nuovi spunti su quanto il lavoro del project manager comprenda spesso anche quello del facilitatore di situazioni operative e negoziali. In realtà le due cose non possono essere disgiunte.

Un anno fa, nel corso di una convention di una azienda con cui collaboro, ho fatto l’affermazione ad effetto di avere fin lì operato quotidianamente come una sorta di “osteopata aziendale”, con la specifica funzione di allentare le tensioni muscolari della ‘macchina umana’ protesa nel suo sforzo massimale.
Fuori di metafora, le tecniche di facilitazione possono davvero dare un grande aiuto al project management per agevolare i processi soprattutto di tipo negoziale, inevitabili lungo tutto il corso dei progetti. Al punto che ormai da tempo ho cominciato ad applicare tecniche specifiche di facilitazione all’interno di processi di Agile Project Management nei quali mi trovo a ricoprire formalmente o informalmente il ruolo di ‘workshop facilitator’ previsto da DSDM Atern.

Riprenderò il tema nei prossimi articoli, è veramente importante soprattutto in tempi di scenari estremamente mutevoli e attraversati da tensioni come quelli in cui ci si trova ad operare attualmente.

Agile Project management e maratona

tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, oraQualche settimana fa ho partecipato a un webinar tenuto da un riconosciuto guru dei metodi agili di Project Management. Il tema trattato era il cosidetto ‘timeboxing’, ovvero la tecnica di pianificazione che prevede la suddivisione del progetto in obiettivi raggiungibili in intervalli di tempo piccoli e prefissati in modo rigoroso. Il rigido e tassativo controllo del raggiungimento degli obiettivi prefissati nei tempi previsti a livello micro consente un più agevole controllo del progetto sovrastante.

La tecnica, se vogliamo, riprende in chiave organizzativa il famoso motto di Lao Tzu, “anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo”, suggerendoci che un viaggio di mille miglia è meglio controllabile se lo suddividiamo in obiettivi lunghi un passo, ci diamo un tempo per ogni passo e quel tempo/passo lo rispettiamo. Un passo è sufficientemente misurabile in termini di tempo e spazio per poterlo controllare adeguatamente, per cui tenendo sotto controllo rigorosamente ciascun singolo passo potremo anche prevedere quanto tempo sarà necessario per percorrere “il viaggio di mille miglia” e garantire la sostenibilità del viaggio,  facendo in modo di essere ‘qui e ora’ dove avevamo previsto di essere.

Il punto cruciale quindi, diventa la sostenibilità di quel tempo/passo, senza la quale si rischia di trovarsi a tollerare lo sforamento del limite di tempo, della ‘timebox’ appunto, e allora addio pianificazione e controllo.

L’esempio che ho fatto non è casuale in quanto la maratona ancora una volta ci offre spunti di riflessione, le miglia di allenamento per poterla correre sono davvero mille, il tempo/passo è l’elemento intorno al quale ruota tutta la preparazione e la sostenibilità del passo è proprio ciò che va allenato per centrare il proprio tempo obiettivo sui 42km.

Ho affrontato il tema della sostenibilità  in una recente intervista rilasciata per MasterMag, il magazine di MasterCup. Si può scaricare cliccando qui.

In un progetto aziendale, dove tipicamente è chiesto un alto rendimento, come nella maratona occorre ‘buttare fuori tutto’, dosando bene lo sforzo, controllando e rendendo sostenibile il passo/tempo in modo da centrare gli obiettivi di progetto, sempre ambiziosi.

I progetti e l’illusione del controllo

I mesi scorsi ho attraversato un periodo di lavoro operativo sui progetti molto intenso, nei quali ho raccolto alcuni
spunti in merito ai quali sto preparando degli articoli per il blog. Ma in certi casi l’ispirazione arriva da dove meno ce
la si aspetta. Ultimamente ho avuto occasione di vedere molti film di animazione e mi ha colpito un passaggio del film Kung
Fu Panda, una spiegazione che il saggio maestro Oogway da al suo allievo Shifu nel momento del pericolo in cui quest’ultimo
dibita di potere mai trasformare Po, il panda protagonista della storia, in un guerriero capace di sconfiggere Tai Lung, il
cattivo di turno:
Il panda non adempirà mai al suo destino e tu al tuo se non rinuncerete all’illusione del controllo. Guarda questo albero
Shifu: non posso farlo fiorire quando mi aggrada e farlo fruttificare prima del suo tempo.
E all’obiezione di Shifu che l’albero non avrebbe mai potuto sconfiggere Tai Lung:
Può darsi di sì, se sei disposto a guidarlo, a nutrirlo, a credere in lui.
Anche quando si vuole formare le persone a svolgere un derminato compito aziendale, si incorre nell’errore di non
interpretare correttamente la situazione (in termini calcistici si direbbe, “non saper leggere la partita”), accanendosi
inutilmente per cercare di piegare la realtà a quello che si ha in mente, traformando il proprio progetto in una battaglia
persa contro i mulini a vento.
In questi casi è prorio vero che occorre rinunciare all’illusione del controllo, provare a capire le persone, a come
nutrirle e guidarle verso l’adempimento del proprio destino. Capendo quali sono le leve motivazionali profonde che spingono
le persone ad agire. Solo così si riesce a formare le persone a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Shifu scoprirà che la gola per i biscotti fa eseguire a Po inconsapevolmente esercizi impensabili e usando quella leva
riuscirà a trasformarlo nel guerriero che sconfiggerà Tai Lung. Nella realta quotidiana aziendale comprendere quali sono le
motivazioni profonde che animano ciascuno dei propri collaboratori è un po’ meno banale che in un film di animazione, ma
nondimeno è il solo modo per ottenere il meglio da essi.
La mia personale esperienza mi fa rilevare anche che, una volta compresa la motivazione personale delle persone, molto
spesso la chiave del successo organizzativo è rimuovere i vincoli, magari autoimposti dalle stesse, che impediscono alle
persone di operare con modalità a loro congegnali. A quel punto diventa più semplice adattare i modelli organizzativi e
fare in modo che funzionino davvero.

Rimuovere i limiti autoimpostiDurante i mesi scorsi ho attraversato un periodo di lavoro operativo molto intenso su progetti che mi hanno fornito spunti per i prossimi articoli del blog. Ma in certi casi l’ispirazione arriva da dove meno ce la si aspetta. Ultimamente ho avuto occasione di vedere molti film di animazione che mi ero perso e mi ha colpito un passaggio del film Kung Fu Panda, una spiegazione che il saggio maestro Oogway da al suo allievo Shifu nel momento del pericolo in cui quest’ultimo dubita di potere mai trasformare Po, il panda protagonista del film, in un guerriero capace di sconfiggere Tai Lung, il cattivo di turno:

Il panda non adempirà mai al suo destino e tu al tuo se non rinuncerete all’illusione del controllo. Guarda questo albero Shifu: non posso farlo fiorire quando mi aggrada e farlo fruttificare prima del suo tempo.

E all’obiezione di Shifu che quell’albero non avrebbe mai potuto sconfiggere Tai Lung:

Può darsi di sì, se sei disposto a guidarlo, a nutrirlo, a credere in lui.

Anche quando si vuole formare le persone a svolgere un determinato compito aziendale si può incorrere nell’errore di non interpretare correttamente la situazione (in termini calcistici si direbbe, “non saper leggere la partita”), accanendosi inutilmente per cercare di piegare la realtà a quello che si ha in mente, trasformando il proprio progetto in una battaglia persa contro i mulini a vento.

In questi casi è prorio vero che occorre rinunciare all’illusione del controllo, provare a capire le persone, come nutrirle e guidarle verso l’adempimento del proprio destino. Capendo quali sono le leve motivazionali profonde che spingono le persone ad agire. Solo così si riesce a formarle e portarle a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Shifu scoprirà che la gola per i biscotti fa eseguire a Po inconsapevolmente acrobazie impensabili e usando quella leva riuscirà a trasformarlo nel ‘guerriero dragone’ che sconfiggerà Tai Lung. Nella realtà quotidiana aziendale comprendere quali sono le motivazioni profonde che animano ciascuno dei propri collaboratori è un’attività un po’ meno banale di quanto non lo sia in un film di animazione, ma nondimeno è il solo modo per ottenere il meglio da essi.

La mia personale esperienza mi fa rilevare anche che, una volta compresa la leva motivazionale delle persone, molto spesso la chiave del successo organizzativo risiede nella rimozione dei vincoli, magari autoimposti dalle stesse, che impediscono alle persone di operare con modalità a loro congegnali. A quel punto diventa più semplice adattare i modelli organizzativi e fare in modo che funzionino davvero.