Webinar: ridurre dell’89% i tempi di risposta con Kanban

Tutti i team di tutte le organizzazioni hanno un problema in comune: troppe cose da fare, e troppo poco tempo per farle. Spesso il problema non dipende da fattori esterni, ma dal modo di lavorare del team. Si può però riuscire a ridurre dell’89% i tempi di risposta con Kanban.

La curva di distribuzione del tempo necessario al team HR per l’onboarding dei nuovi dipendenti, dopo un anno dall’introduzione di Kanban

In questo webinar approfondisco alcuni aspetti già raccontati in un case study pubblicato sul portale Kanban+ della Kanban University. E’ la storia di un team HR con cui collaboro, che grazie al metodo Kanban ha ridotto appunto dell’89% il tempo necessario per l’onboarding dei nuovi dipendenti. Sembra incredibile ma non lo è, perché l’applicazione di Kanban aiuta il team a portare alla luce le inefficienze del flusso di lavoro e a rimuoverle.
Nel webinar spiego come abbiamo fatto, entrando maggiormente nel dettaglio degli aspetti tecnici e metodologici applicati e di come funziona il coaching Kanban.

Potete accedere alla registrazione del webinar cliccando qui.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.

Imparare dalle lezioni e migliorare la gestione dei progetti

«Io non perdo mai. A volte vinco, altre imparo»
Nelson Mandela
Uno degli aspetti che viene ripreso da tutte le metodologie di gestione dei progetti ma che spesso viene trascurato a livello applicativo è quello della gestione delle cosiddette lezioni apprese. Più o meno in tutti i contesti in cui mi trovo ad operare si fa qualcosa, ma è abbastanza raro trovare chi è disposto a utilizzare un metodo strutturato di apprendimento dall’esperienza. E a mio avviso un metodo strutturato di apprendimento dall’esperienza non può prescindere dal poter disporre di misure sulle performance di progetto.
Una best practice in tal senso la prendo quindi in prestito da ITIL e dal suo approccio CSI – Continual Service Improvement – approccio che mette la giusta enfasi sulla necessità di misurare i risultati di una qualsiasi attività per poter individuare i punti di forza su cui fare leva e i punti di debolezza da migliorare, senza mai perdere di vista il valore che ciascuna attività apporta all’azienda. L’approccio CSI – basato sul ciclo di Shewhart, ripreso da Deming – è stato pensato per il miglioramento dei servizi ma nella mia personale esperienza si può applicare altrettanto efficacemente ai progetti.
 
L’approccio CSI si compone di sei fasi, analizziamole alla luce dell’esigenza di apprendimento dall’esperienza nei progetti:
Fase 1: chiarire la visione, tenendo in considerazione la missione, gli obiettivi di breve e lungo termine, garantendo che tutti ne abbiano una comprensione comune. La visione rappresenta uno stato aziendale desiderato a medio termine e anche le modalità di gestione dei progetti devono contribuire alla sua realizzazione.
Fase 2: valutare la situazione attuale e stabilire una baseline, un punto di riferimento, di dove esattamente si trova attualmente l’organizzazione e, nel nostro specifico, il nostro approccio alla gestione dei progetti. Questa fase richiede delle misure e può essere impegnativa. L’aspetto fondamentale è l’onestà intellettuale, le misure possono essere di tipo qualitativo ma è essenziale essere onesti, non raccontarsela, motivo per cui un supporto esterno può essere utile. Per esempio l’utilizzo di un Modello di Maturità come quello fornito gratuitamente da Praxis Framework può aiutare a effettuare una valutazione sostanzialmente oggettiva.
Fase 3: definire i passaggi verso la visione in base alle priorità di miglioramento e stabilire obiettivi misurabili. Di solito è impossibile, o per lo meno molto difficile, passare direttamente dallo stato attuale a quello desiderato rappresentato dalla visione. Più verosimilmente si porteranno intraprendere azioni di miglioramento che ci faranno fare progressi nella direzione desiderata.
Fase 4: documentare e implementare un piano di miglioramento, facendo riferimento alle best practice per la gestione dei progetti. Ciascuno ha le proprie preferenze, ISO 21500, PMBoK, PRINCE2, AgilePM, Scrum, Praxis Framework sono tutte ricche di spunti e strumenti utilizzabili per il miglioramento. In questa fase è fondamentale mettere in atto azioni concrete di miglioramento a partire dal primo progetto disponibile
Fase 5: monitorare i risultati, utilizzando le misure e le metriche appropriate definite in precedenza. E qui di nuovo il Modello di Maturità di Praxis Framework  ci può fornire una misura oggettiva del miglioramento.
Fase 6: mantenere lo slancio assicurando che i miglioramenti siano integrati e che si vada in cerca di ulteriori opportunità di miglioramento. Per fare questo è importante che l’approccio CSI sia integrato nei processi di gestione dei progetti. Praxis Framework per esempio prevede due momenti in cui tale approccio può essere efficacemente utilizzato, nel Processo di Identificazione del progetto e nel Processo di Chiusura del progetto.
 
Insieme ai colleghi di E-quality abbiamo elaborato un percorso, PM@work, con l’obiettivo di supportare le aziende in questo percorso di miglioramento, in modo molto concreto e operativo.
 

Un’azienda organizzata è fatta di persone organizzate

“Tutto andrebbe semplificato il più possibile, ma non di più” (Albert Einstein)

L’affermazione nel titolo sembra di un’ovvietà disarmante. Lo è in teoria anche se in pratica le cose stanno diversamente perché è proprio la difficoltà delle persone ad organizzarsi a livello personale che spesso fa fallire i sistemi organizzativi aziendali, sopratutto se tale difficoltà è incontrata dalle figure di vertice, che tra l’altro sono quelle maggiormente oberate di impegni e che più necessitano di una buona organizzazione personale.

Insieme ai colleghi condividiamo spesso riflessioni sui progetti organizzativi che ciascuno di noi ha portato avanti negli anni in varie aziende e ci rinforziamo sempre più nella seguente convinzione: l’organizzazione aziendale discende dall’organizzazione personale degli individui, senza quest’ultima anche le migliori pratiche organizzative faticano ad avere successo. Tale convinzione ci porta continuamente a ricercare e adottare metodiche di organizzazione personale che possano rinforzare la capacità di operare nostra e dei nostri team.

In effetti ripercorrendo i miei interventi in azienda, come anche descritto in altri articoli su questo blog, ho sempre cercato di perseguire uno sviluppo armonico in parallelo dell’organizzazione aziendale da un lato e di quella personale dei membri del team di lavoro dall’altro, anche se non sempre ho avuto a disposizione gli strumenti adatti.

Nell’ultimo anno ho quindi approfondito l’applicazione del Natural Planning Model® ideato da David Allen nell’ambito di GTD® – Getting Things Done®.

 

GTD® e il Natural Planning Model® offrono qualcosa in più, perché favoriscono la creazione di un vero e proprio sistema personale per la gestione di tutte le proprie attività e progetti, rigoroso e allo stesso flessibile. Il metodo, grazie alla sua struttura adattabile e scalabile, si integra perfettamente con qualunque contesto organizzativo, quale che sia la metodologia applicata.

L’aspetto che apprezzo particolarmente di questo sistema di gestione personale rispetto ad altri metodi è che il Natural Planning Model® non impone la calendarizzazione di tutte le proprie attività, ma propone una disciplinata gestione del backlog delle proprie attività, con modalità molto simili a quanto avviene per le varie metodiche agili quali Scrum, Kanban o Agile Project Management, che spesso applico nei progetti aziendali. Questo significa che il Natural Planning Model® può diventare il ‘terminale personale’ di un sistema organizzativo completo per l’azienda.

Sto personalmente applicando il Natural Planning Model®, con risultati molto soddisfacenti, per la gestione della mia vita nel suo complesso (come in effetti deve essere per massimizzarne l’efficacia) e all’interno di essa anche per la gestione di un contesto poco strutturato all’interno di una organizzazione con cui collaboro e che è in rapida evoluzione. Grazie a esso riesco a cavalcare l’onda delle varie attività che spesso fanno la loro comparsa in maniera piuttosto estemporanea e imprevista e a convogliarle in un flusso controllato e organizzato, evitando al tempo stesso il classico fenomeno del “foglio che cade tra due scrivanie” ovvero delle attività che si perdono e nessuno prende in carico. Non che prima non facessi questo, ma mi rendo conto che grazie all’applicazione di un metodo ottimizzato mi ritrovo ad operare in modo molto più efficiente ed efficace.

Il prossimo passo sarà sviluppare la nuova struttura operativa, i processi e gli schemi di flusso di gestione dei progetti per l’organizzazione in questione ma le fondamenta, a livello personale, sono già poste e sono solide. In effetti l’organizzazione già funziona, perché sono organizzati gli individui al suo interno.

Nel frattempo E-quality ha scelto quest’anno di diventare ente di formazione ufficiale per l’Italia di  GTD® e io ho accolto con entusiasmo la proposta di diventare uno dei docenti accreditati.

Innovare in modo agile

“I colori non sono più di cinque. Eppure nessuno può dire di avere visto tutte le loro combinazioni”
(Sun Tzu – L’arte della guerra)

Le tecniche di lean management, inventate da Toyota a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, ben si prestano all’applicazione per la creazione di nuovi prodotti e la rivitalizzazione di quelli esistenno-thanks-were-too-busyti. Di recente, movimenti come Lean Startup hanno giustamente posto l’enfasi sul loro impiego per un approccio radicale al lancio di idee e attività innovative.

Insieme a Daniela Alderighi abbiamo combinato queste tecniche con la sua esperienza di innovazione in medie e piccole imprese per proporre Eureka, un intervento operativo molto breve – 3 giorni – per tratteggiare opportunità di nuovi prodotti/servizi in passi incrementali successivi, guidati in modo visivo secondo logiche di valore e fattibilità.

Per chi fosse curioso il sito è www.eureka.tips

Generare risparmi nella gestione dei progetti aziendali

La generazione di risparmi in azienda è un tema fondamentale in chiave strategica e lo diventa ogni giorno di più.

Nel corso degli anni abbiamo messo a punto insieme ad alcuni colleghi una metodologia, il 3D Performance, che coniuga alcune delle più efficaci metodologie di gestione dei progetti con strumenti di facilitazione e di empowerment delle risorse umane. Tre anni dopo averne parlato una prima volta sul blog ed esserci confrontati con clienti e colleghi in un laboratorio appositamente organizzato, il modello ha visto significative applicazioni ed è giunto a maturità.

Riproponiamo sinteticamente i risultati in un video realizzato per Aula PMI di Microsoft del quale si può prendere visione qui sotto e ne parleremo più diffusamente in un webcast che sarà trasmesso martedì 25 febbraio p.v. ore 14:30 in diretta dal portale Microsoft. Sarà possibile collegarsi al webcast sia da PC cliccando qui, sia da smartphone cliccando qui.

Possiamo anche incontrarci di persona in una delle giornate dedicate, delle quali trovate maggiori informazioni qui.

3D Performance si articola in tre fasi che caratterizzano la gestione del progetto, per ciascuna delle quali sono stati individuati strumenti specifici e adatti: prima di tutto l’analisi dell’esistente, finalizzata a “smontare” l’organizzazione, capire bene  il suo funzionamento attuale e le possibili aree di miglioramento; la seconda fase ha lo scopo di evolvere l’organizzazione, mediante lo studio di una nuova configurazione dei vari elementi tecnici, organizzativi e umani; infine la terza fase mette in azione la nuova organizzazione, monitorandola e sostenendola con un processo di miglioramento continuo e ottimizzazione.

Per garantirne l’efficacia, in ciascuno di questi tre passaggi occorre intervenire a vari livelli, sull’organizzazione e sui processi come sulle risorse umane: per questo utilizziamo un mix articolato di strumenti, metodologie e best practice. Mantenendo il focus sulla necessità di raggiungere significativi e misurabili risparmi in tempi rapidi.

Project Manager o Facilitatore?

Open Space TechnologyLo scorso 25 giugno un gruppo di professionisti di provenienza diversa si è incontrato a Milano all’evento IAF Italy si presenta (link). Si è discusso di svariati temi – utilizzando la interessante tecnica dell’Open Space Technology (link) – che mi hanno fornito nuovi spunti su quanto il lavoro del project manager comprenda spesso anche quello del facilitatore di situazioni operative e negoziali. In realtà le due cose non possono essere disgiunte.

Un anno fa, nel corso di una convention di una azienda con cui collaboro, ho fatto l’affermazione ad effetto di avere fin lì operato quotidianamente come una sorta di “osteopata aziendale”, con la specifica funzione di allentare le tensioni muscolari della ‘macchina umana’ protesa nel suo sforzo massimale.
Fuori di metafora, le tecniche di facilitazione possono davvero dare un grande aiuto al project management per agevolare i processi soprattutto di tipo negoziale, inevitabili lungo tutto il corso dei progetti. Al punto che ormai da tempo ho cominciato ad applicare tecniche specifiche di facilitazione all’interno di processi di Agile Project Management nei quali mi trovo a ricoprire formalmente o informalmente il ruolo di ‘workshop facilitator’ previsto da DSDM Atern.

Riprenderò il tema nei prossimi articoli, è veramente importante soprattutto in tempi di scenari estremamente mutevoli e attraversati da tensioni come quelli in cui ci si trova ad operare attualmente.

Formazione e project management

Il convegno di Andec dello scorso 15 febbraio ha messo in evidenza alcuni orientamenti nel mondo della formazione manageriale che mi pare utile riportare.

Il primo elemento che è emerso in modo chiaro dai vari interventi della tavola rotonda è che la formazione manageriale può essere un utile strumento per vincere la crisi: in effetti le aziende più lungimiranti stanno approfittando della congiuntura per guadagnare posizioni di mercato e per supportare il processo di crescita investono in formazione.

Analizzando le statistiche relative all’anno 2011 circa gli investimenti di formazione sulle fasce più qualificate della popolazione lavorativa, i dirigenti, emerge che tra il 9% e l’11% degli investimenti in formazione sono per formare figure di ‘progettazione’ e ‘gestione’. In particolare è emersa la richiesta sempre più pressante di capacità di Change Leadership. Tutte tematiche legate al project management.

Un altro spunto interessante emerso è che le fonti di finanziamento pubblico della formazione tendono a non erogare più come in passato finanziamenti ‘a pioggia’ o su intreventi spot, ma al contrario tendono a favorire “piani bilanciati”, vale a dire iniziative organiche e progetti con una strategia complessiva. Quello sembra affermarsi è quindi il principio secondo cui è necessario dotarsi di un vero e proprio progetto di formazione.

Infine è stato posto l’accento sulla facilitazione e sul concetto di learning community come elementi chiave dei nuovi paradigmi di formazione che utilizzano gli strumenti offerti dal web 2.0. Mi ha fatto piacere perché questo blog, a suo modo, ne è un piccolo esempio.
Inoltre sempre di più mi viene chiesto anche di operare come temporary manager, quindi gestendo operativamente team (ovvero piccole comunità) di lavoro e operando un trasferimento delle competenze per osmosi, giorno per giorno, come si dice in gergo “on-the-job “.

Per chi si fosse perso il convegno e fosse interessato ai temi trattati è possibile richiedere gli atti cliccando qui.

Project management e competitività d’impresa

Ho già affrontato il tema relativo all’utilizzo delle tecniche di project management per la gestione di iniziative di tipo commerciale e imprenditoriale. Mi ci soffermo di nuovo per sottolineare quanto queste possano essere un valido strumento di governo dell’azienda.

Il concetto di business case, quindi semplificando, di controllo rigoroso dei costi/benefici di un progetto come di qualunque iniziativa, dovrebbe essere la stella polare dei processi decisionali, mentre spesso accade che siano altri i criteri, non sempre adeguatamente strutturati.

E’ fondamentale strutturare il proprio progetto secondo dei passaggi ben definiti, con dei punti di controllo nei quali validare la sostenibilità del progetto in termini di risposta alla domanda: “il business case è ancora valido?”

Quindi gestione del progetto come ‘governo del business case’, da sviluppare a partire dalle variabili corrette e con gli interlocutori aziendali corretti, all’interno di processi e procedure aziendali: per far questo il primo progetto da prevedere è di tipo formativo/riorganizzativo che permetta di introdurre le metodologie nel contesto aziendale in modo efficiente ed efficace.

Interverrò sul tema mercoledì 15 febbraio a Milano alla tavola rotonda del convegno Andec (per info clicca qui), soffermandomi sull’imporanza del project management come strumento di ausilio per i manager della consumer electronic in un momento di passaggio per l’economia.

I progetti e la gestione dei rischi

Ritorno sul tema dei rischi perché a mio modo di vedere non si finisce mai di parlarne abbastanza.  L’occasione per parlarne è stato il webinar per Aula PMI che ho tenuto lo scorso 19 maggio sull’argomento e del quale può essere vista la registrazione sul portale Microsoft cliccando qui.

objectsinmirrorQuesto webinar segna uno stacco rispetto al passato, per la prima volta ho utilizzato la maratona come caso esemplificativo a cui applicare i vari argomenti trattati, per cui la metafora del podista è stata il filo conduttore di tutta la trattazione. Ovviamente i riferimenti nei miei pensieri andavano tutti alla maratona corsa il mese scorso, sicuramente ricca di spunti sul tema (per usare un eufemismo!), come già ampiamente spiegato nel mio precedente post.

Insieme ai partecipanti ci siamo chiesti qual è l’origine dei rischi, come analizzare le varie cause e come tenerne traccia. Poi siamo passati ad analizzare gli impatti, le relazioni causa effetto e le possibili azioni di risposta. Infine abbiamo toccato il tema del controllo dei rischi.

Parlare una volta ancora di rischi e delle loro misure, la probabilità e la prossimità, mi ha fatto venire in mente un’immagine rappresentativa che ho riportato nella foto qui sopra, ovvero quella tipica frase che c’è scritta nei retrovisori delle automobili americane: “gli oggetti nel retrovisore sono più vicini di quanto possano apparire”. La mia esperienza, e me ne convinco ogni giorno di più, è che le stime di probabilità e prossimità sono sempre troppo ottimistiche, anche i rischi sono sempre più vicini di quanto possano apparire. Questa frase andrebbe scritta nel ‘retrovisore’ di tutti i project manager.

Un progetto è sempre una sfida ambiziosa

Questo post vi parla di un progetto ambizioso. Tutti i progetti sono sfide ambiziose, questo lo è di più. Mi fa tornare in mente quello che una collega qualche giorno fa spiegava ai suoi project manager: che si è veri manager se si è in grado di portare a termine progetti ambiziosi disponendo di risorse limitate.

In questo caso il progetto ambizioso è quello dell’amico Max, che vuole far tornare a camminare, io spero anche a correre, i ragazzi di Battambang, in Cambogia, che hanno perso le gambe. Ho aderito con entusiasmo al progetto di Max perché una delle ‘molle’ (sic!) che mi ha aiutato a superare le prime difficoltà quando mi sono rimesso a correre è stato l’esempio di Oscar Pistorius: pensavo e penso che se lui ha l’ambizione di correre le olimpiadi insieme ai normodotati, io ho il dovere di fare il massimo con le gambe che la natura mi ha donato. Se poi non si tratta di Pistorius, che comunque ha trovato la sua strada e ha avuto successo, ma di bambini a cui la possibilità di camminare è stata tolta dalle mine antiuomo, il senso del dovere raddoppia.

Il progetto è appunto ambizioso, le risorse sono poche, ma la forza è tanta e il progetto è in buone mani, anzi in buoni piedi, quelli dei maratoneti, gente che sa cosa vuol dire perseguire obiettivi ambiziosi con risorse limitate.

Cliccate qui per visitare il sito di RunForLife e per scoprire come come potete dare il vostro contributo al progetto.
Ah, dimenticavo, se volete diventare miei sostenitori su RunForLife il mio nickname è OrsoLento. Grazie Max e grazie anche a Oscar per l’esempio che continua  a darci.