Formazione e project management

Il convegno di Andec dello scorso 15 febbraio ha messo in evidenza alcuni orientamenti nel mondo della formazione manageriale che mi pare utile riportare.

Il primo elemento che è emerso in modo chiaro dai vari interventi della tavola rotonda è che la formazione manageriale può essere un utile strumento per vincere la crisi: in effetti le aziende più lungimiranti stanno approfittando della congiuntura per guadagnare posizioni di mercato e per supportare il processo di crescita investono in formazione.

Analizzando le statistiche relative all’anno 2011 circa gli investimenti di formazione sulle fasce più qualificate della popolazione lavorativa, i dirigenti, emerge che tra il 9% e l’11% degli investimenti in formazione sono per formare figure di ‘progettazione’ e ‘gestione’. In particolare è emersa la richiesta sempre più pressante di capacità di Change Leadership. Tutte tematiche legate al project management.

Un altro spunto interessante emerso è che le fonti di finanziamento pubblico della formazione tendono a non erogare più come in passato finanziamenti ‘a pioggia’ o su intreventi spot, ma al contrario tendono a favorire “piani bilanciati”, vale a dire iniziative organiche e progetti con una strategia complessiva. Quello sembra affermarsi è quindi il principio secondo cui è necessario dotarsi di un vero e proprio progetto di formazione.

Infine è stato posto l’accento sulla facilitazione e sul concetto di learning community come elementi chiave dei nuovi paradigmi di formazione che utilizzano gli strumenti offerti dal web 2.0. Mi ha fatto piacere perché questo blog, a suo modo, ne è un piccolo esempio.
Inoltre sempre di più mi viene chiesto anche di operare come temporary manager, quindi gestendo operativamente team (ovvero piccole comunità) di lavoro e operando un trasferimento delle competenze per osmosi, giorno per giorno, come si dice in gergo “on-the-job “.

Per chi si fosse perso il convegno e fosse interessato ai temi trattati è possibile richiedere gli atti cliccando qui.

Project management e competitività d’impresa

Ho già affrontato il tema relativo all’utilizzo delle tecniche di project management per la gestione di iniziative di tipo commerciale e imprenditoriale. Mi ci soffermo di nuovo per sottolineare quanto queste possano essere un valido strumento di governo dell’azienda.

Il concetto di business case, quindi semplificando, di controllo rigoroso dei costi/benefici di un progetto come di qualunque iniziativa, dovrebbe essere la stella polare dei processi decisionali, mentre spesso accade che siano altri i criteri, non sempre adeguatamente strutturati.

E’ fondamentale strutturare il proprio progetto secondo dei passaggi ben definiti, con dei punti di controllo nei quali validare la sostenibilità del progetto in termini di risposta alla domanda: “il business case è ancora valido?”

Quindi gestione del progetto come ‘governo del business case’, da sviluppare a partire dalle variabili corrette e con gli interlocutori aziendali corretti, all’interno di processi e procedure aziendali: per far questo il primo progetto da prevedere è di tipo formativo/riorganizzativo che permetta di introdurre le metodologie nel contesto aziendale in modo efficiente ed efficace.

Interverrò sul tema mercoledì 15 febbraio a Milano alla tavola rotonda del convegno Andec (per info clicca qui), soffermandomi sull’imporanza del project management come strumento di ausilio per i manager della consumer electronic in un momento di passaggio per l’economia.

Progetti, intensità e capacità decisionale

La maratona è la metafora della vita, all’inizio non hai esperienza, non sai cosa ti riserverà il futuro ma sei pieno di vitalità ed energie, verso la fine hai molta esperienza e sai cosa puoi fare, ma la vitalità e le energie se ne sono andate

intensità di azioneUn amico podista che mi è venuto a trovare nei giorni scorsi mi ha dato questo spunto interessante. C’è una verità in questa affermazione che si applica non solo a tutta la vita nel suo complesso ma anche a tutte le situazioni particolari della vita, ai nostri progetti.
Quando ci avviamo per intraprendere una nuova iniziativa siamo pieni di idee, entusiasmo ed energia, ma difettiamo di capacità decisionale; poi alla lunga sicuramente accumuliamo esperienza, che si traduce sicuramente in capacità decisionale, ma dobbiamo anche far fronte ai momenti di stanchezza e nei quali le risorse vengono meno, chi non si è mai trovato in situazioni in cui si fatica a trovare forze, soprattutto mentali, per chiudere i progetti?

Anche nei progetti aziendali spesso ci sono difficoltà a chiudere i progetti e le difficoltà non sono solo di budget. Certamente se facciamo errori decisionali nelle fasi iniziali (stime errate, sottovalutazione dei rischi, scarso controllo sull’efficienza) potremmo trovarci con un budget troppo scarso verso le fasi finali. Ma queste situazioni si possono risolvere. La mia personale esperienza e osservazione mi suggerisce che la vera criticità è quando vengono a mancare le risorse mentali, perché a quel punto cala l’intensità di azione e la capacità decisionale. In chiusura di progetto le risorse mentali sono fondamentali.

È importante capire che esistono compiti poco ‘intensi’ da un punto di vista prettamente ‘fisico’ che però, per la concentrazione richiesta, risultano estremamente intensi. Per esempio, battere un rigore in una finale di campionato del mondo è una situazione ad alta intensità, che deriva dalla eccezionale concentrazione decisionale del momento.

E dalla posta in gioco, aggiungo io. La citazione è presa dal libro “Mourinho, questione di metodo” e l’affermazione è di Rui Faria, preparatore atletico di Mourinho. Credo che contenga una grande verità, nel calcio come nella maratona, come in qualunque sport agonistico, come in qualunque progetto, come nella vita. L’intensità, nel prendere decisioni per il governo dei progetti, è fondamentale.
All’inizio del progetto deve essere indirizzata soprattutto a mettere ordine, a prevenire rischi e problemi e preparare quello che avverrà dopo, a dosare correttamente l’energia fisica e mentale lungo il corso del progetto stesso.
Alla fine del progetto l’intensità dovrà essere indirizzata a una efficace chiusura dei punti aperti e al raggiungimento degli obiettivi che il progetto si prefigge.

Occorre quindi allenarsi alla gestione della concentrazione e al mantenimento di un livello adeguato di intensità decisionale per tutto il corso di ciascun progetto. Comprendendo anche quale livello di intensità ciascuno di noi è in grado di sostenere e per quanto tempo. Imparando ad alternare fasi intense e fasi di recupero attivo. Nella vita e nel lavoro come nello sport.

Facilitare l’adozione del project management

Ho già parlato in un precedente post della proposta di una metodologia semplice ed efficace per il cambiamento in azienda, in questo mi soffermerò in particolare sulla fase di messa in atto della nuova organizzazione e dell’introduzione nella pratica di lavoro delle metodiche di project management una volta che queste sono state elaborate e definite.
Il sistema classico è quello di svolgere delle sessioni formative, anche se tale sistema ha il difetto di interrompere il lavoro delle figure aziendali che devono essere formate. Inoltre le sessioni formative hanno il grosso limite di essere avulse dal contesto lavorativo, per cui il rischio è che i concetti spiegati nelle sessioni formative stesse non vengano interiorizzati e che restino quindi inapplicati una volta che si è tornati al lavoro.

Come quindi introdurre efficacemente le metodiche in azienda nel minor tempo possibilesenza che le figure aziendali coinvolte debbano interrompere le proprie attività quotidiane?

Essendomi trovato recentemente a dover gestire alcune situazioni abbastanza complesse di introduzione di metodologie di project management, ho elaborato un modello basato sul mix di due elementi metodologici di provenienza diversa: il primo elemento stimola la creatività e la ricerca di soluzioni innovative e personalizzate, il secondo (di origine sportiva) consente di mantenere il processo di adozione rigorosamente indirizzato verso gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Il primo elemento si rifà alle tre fasi della Teoria U di Otto Scharmer: osservare a fondo, ritirarsi per riflettere e, una volta che un’idea ‘emerge’, applicarla immediatamente per avere un primo riscontro sul campo e poi migliorare il modello per approssimazioni successive (prototipazione ciclica).

La conseguenza è quella di fare training on the  job orientato alla continua ricerca di soluzioni pratiche innovative, all’incirca quello che fa in partita un bravo allenatore di sport di squadra: osservare, prendere appunti, interpretare la situazione di gioco, inventare correttivi operativi immediati, provarli, correggerli e così via.

Per legare l’approccio descritto qui sopra, più creativo, alla metodologia di project management adottata, che creativa non è, utilizzo il secondo elemento, un metodo che ho mutuato dal più famoso e controverso allenatore di calcioanalizzo e ‘distillo’ abbastanza in dettaglio quali sono i principi di lavoro che favoriscono l’adozione in azienda della metodologia di project management che si vuole introdurre, poi verifico che le azioni identificate secondo il processo creativo siano coerenti con i principi di lavoro definiti e portino quindi all’effettivo raggiungimento degli obiettivi metodologici di project management.

Facendo questo, sviluppo un ambiente creativo, in cui le persone sono stimolate a ricercare e ‘scoprire’ all’interno di quello che già fanno le modalità per la migliore adozione del metodo di project management, non distolgo le persone dal lavoro e allo stesso tempo tengo incanalato il processo di adozione della metodologia verso il raggiungimento degli obiettivi metodologici prefissati.

Chiaramente questo approccio richiede molto lavoro preparatorio per sviluppare una certa ‘arte’ nel gestire il processo e nel definire correttamente i principi di lavoro: i rischi sono di definire i principi stessi in termini troppo teorici e vaghi, minando il conseguimento degli obiettivi metodologici, o al contrario in termini troppo operativi e dispositivi, ancorando il processo a idee preconcette, con ogni probabilità poco adatte al contesto aziendale in cui si va ad operare.

Ho verificato sul campo che l’approccio sopra descritto permette di raggiungere risultati insperati in tempi relativamente brevi. Riprenderò e approfondirò il tema in qualche prossimo post o laboratorio dal vivo.

Progettare gli acquisti e le vendite internazionali

Nella mia esperienza professionale ho avuto modo di occuparmi anche di progetti che riguardavano lo sviluppo della presenza internazionale delle imprese. Insieme ad un collega inglese esperto di commercio internazionale abbiamo messo a punto nel corso degli anni una metodologia modulare di supporto allo sviluppo commerciale che si basa su un forte elemento di project management.

Hong Kong - la porta della CinaIl punto di partenza era stata la constatazione di quanto poco i progetti commerciali internazionali delle aziende vengano gestiti e controllati, sia che si tratti di progetti di espansione commerciale, sia che si tratti di progetti di delocalizzazione produttiva. Si era constatato come il concetto di business case, quindi di controllo rigoroso dei costi/benefici, che dovrebbe essere la stella polare di un progetto, soprattutto se commerciale, fosse gestito nella maggior parte dei casi in maniera abbastanza approssimativa e nebulosa.

Da un lavoro svolto in collaborazione con una primaria banca italiana a supporto di circa 50 medie aziende attive a livello internazionale era risultato che il livello di applicazione di metodiche di pianificazione strategica e controllo dei progetti era piuttosto scarso. Il quadro che ne usciva rivelava una forte capacità di ‘arrangiarsi’ ma con una scarsa applicazione di metodiche strutturate. Aree cruciali quali la pianificazione strategica di breve e lungo periodo,  i piani di supporto alla distribuzione locale, le metodiche di controllo della distribuzione locale, i piani riguardanti la ricerca e sviluppo, la gestione dei rischi e la pianificazione finanziaria del rientro sugli investimenti erano presidiate in modo approssimativo.

Ne è nata quindi l’idea di strutturare un’apposita offerta di consulenza e formazione per rinforzare nelle aziende la capacità di affrontare i mercati internazionali forti di linee guida e strumenti di project management adeguati: abbiamo inventato quindi il sistema modulare che nella sua semplicità è  forte di step ben definiti e checklist operative che consentono l’attuazione di una vera e propria ‘strategia da sbarco’ commerciale e produttiva. Nel tempo si è affinato e reso maggiormente robusto il modello andando ad integrare elementi delle best practice PRINCE2 e PMBoK.

Alla prova dei fatti il modello ha dimostrato la propria validità, ma sopratutto ha dimostrato che anche i progetti commerciali necessitano di solide basi di project management.

Chi fosse interessato avrà modo di approfondire e dibattere con me il tema seguendo il mio webinar del 26 ottobre dal titolo Progettare gli acquisti e le vendite internazionali (live alle ore 16.00) sul portale di Microsoft Aula PMI, che potete raggiungere cliccando su questo link.

Una metodologia semplice ed efficace per il cambiamento in azienda

Uno degli aspetti su cui rifletto molto è la ricerca di una metodologia che sia semplice ma allo stesso tempo efficace per la preparazione e successiva gestione dei miei progetti.  Lo faccio spesso anche durante le corse cercando di trarre ispirazione dalla relativa semplicità di gestione di un piano di allenamento.

Nel corso degli anni insieme ad alcuni colleghi abbiamo cercato progressivamente di mettere a punto una metodologia che coniuga alcune delle principali best practice a livello globale con strumenti di facilitazione: ne è nato un insieme di strumenti e di linee guida che mantenendo il project management su un livello abbastanza semplice e lineare, ci ha consentito di affrontare efficacemente una serie di situazioni, anche abbastanza complesse, di progetti di cambiamento aziendale.

In particolare abbiamo individuato tre passaggi centrali che caratterizzano la gestione del progetto, per ciascuna delle quali trovare strumenti specifici e adatti: prima di tutto l’analisi dell’esistente, finalizzata a “smontare” l’organizzazione e capire bene  il suo funzionamento attuale e le possibili aree di miglioramento; il secondo passaggio è finalizzato all’evoluzione dell’organizzazione, mediante lo studio di una nuova “disposizione sul campo” dei vari elementi tecnici, organizzativi e umani; infine la terza fase mette in azione la nuova organizzazione, monitorandola e sostenendola con un processo di miglioramento continuo e di ‘fine tuning’.

Per garantire l’efficacia, in ciascuno di questi tre passaggi occorre intervenire a vari livelli, sull’organizzazione e sui processi come sulle risorse umane: per questo utilizziamo un mix articolato di strumenti, metodologie e best practice. Senza mai perdere di vista il faro guida: la semplicità per chi è coinvolto nel processo.

Ci piacerebbe parlarne vis-a-vis con chi sta i azienda e il cambiamento deve affrontarlo tutti i giorni. Per questo è nata l’idea di organizzare una giornata di lavoro su questi strumenti e linee guida, il Laboratorio PM LAB, che si terrà a Milano il giorno 21 ottobre 2010 dalle 9.00 alle 17.00. Chi fosse interessato può trovare maggiori informazioni cliccando qui.