I progetti e l’illusione del controllo

I mesi scorsi ho attraversato un periodo di lavoro operativo sui progetti molto intenso, nei quali ho raccolto alcuni
spunti in merito ai quali sto preparando degli articoli per il blog. Ma in certi casi l’ispirazione arriva da dove meno ce
la si aspetta. Ultimamente ho avuto occasione di vedere molti film di animazione e mi ha colpito un passaggio del film Kung
Fu Panda, una spiegazione che il saggio maestro Oogway da al suo allievo Shifu nel momento del pericolo in cui quest’ultimo
dibita di potere mai trasformare Po, il panda protagonista della storia, in un guerriero capace di sconfiggere Tai Lung, il
cattivo di turno:
Il panda non adempirà mai al suo destino e tu al tuo se non rinuncerete all’illusione del controllo. Guarda questo albero
Shifu: non posso farlo fiorire quando mi aggrada e farlo fruttificare prima del suo tempo.
E all’obiezione di Shifu che l’albero non avrebbe mai potuto sconfiggere Tai Lung:
Può darsi di sì, se sei disposto a guidarlo, a nutrirlo, a credere in lui.
Anche quando si vuole formare le persone a svolgere un derminato compito aziendale, si incorre nell’errore di non
interpretare correttamente la situazione (in termini calcistici si direbbe, “non saper leggere la partita”), accanendosi
inutilmente per cercare di piegare la realtà a quello che si ha in mente, traformando il proprio progetto in una battaglia
persa contro i mulini a vento.
In questi casi è prorio vero che occorre rinunciare all’illusione del controllo, provare a capire le persone, a come
nutrirle e guidarle verso l’adempimento del proprio destino. Capendo quali sono le leve motivazionali profonde che spingono
le persone ad agire. Solo così si riesce a formare le persone a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Shifu scoprirà che la gola per i biscotti fa eseguire a Po inconsapevolmente esercizi impensabili e usando quella leva
riuscirà a trasformarlo nel guerriero che sconfiggerà Tai Lung. Nella realta quotidiana aziendale comprendere quali sono le
motivazioni profonde che animano ciascuno dei propri collaboratori è un po’ meno banale che in un film di animazione, ma
nondimeno è il solo modo per ottenere il meglio da essi.
La mia personale esperienza mi fa rilevare anche che, una volta compresa la motivazione personale delle persone, molto
spesso la chiave del successo organizzativo è rimuovere i vincoli, magari autoimposti dalle stesse, che impediscono alle
persone di operare con modalità a loro congegnali. A quel punto diventa più semplice adattare i modelli organizzativi e
fare in modo che funzionino davvero.

Rimuovere i limiti autoimpostiDurante i mesi scorsi ho attraversato un periodo di lavoro operativo molto intenso su progetti che mi hanno fornito spunti per i prossimi articoli del blog. Ma in certi casi l’ispirazione arriva da dove meno ce la si aspetta. Ultimamente ho avuto occasione di vedere molti film di animazione che mi ero perso e mi ha colpito un passaggio del film Kung Fu Panda, una spiegazione che il saggio maestro Oogway da al suo allievo Shifu nel momento del pericolo in cui quest’ultimo dubita di potere mai trasformare Po, il panda protagonista del film, in un guerriero capace di sconfiggere Tai Lung, il cattivo di turno:

Il panda non adempirà mai al suo destino e tu al tuo se non rinuncerete all’illusione del controllo. Guarda questo albero Shifu: non posso farlo fiorire quando mi aggrada e farlo fruttificare prima del suo tempo.

E all’obiezione di Shifu che quell’albero non avrebbe mai potuto sconfiggere Tai Lung:

Può darsi di sì, se sei disposto a guidarlo, a nutrirlo, a credere in lui.

Anche quando si vuole formare le persone a svolgere un determinato compito aziendale si può incorrere nell’errore di non interpretare correttamente la situazione (in termini calcistici si direbbe, “non saper leggere la partita”), accanendosi inutilmente per cercare di piegare la realtà a quello che si ha in mente, trasformando il proprio progetto in una battaglia persa contro i mulini a vento.

In questi casi è prorio vero che occorre rinunciare all’illusione del controllo, provare a capire le persone, come nutrirle e guidarle verso l’adempimento del proprio destino. Capendo quali sono le leve motivazionali profonde che spingono le persone ad agire. Solo così si riesce a formarle e portarle a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Shifu scoprirà che la gola per i biscotti fa eseguire a Po inconsapevolmente acrobazie impensabili e usando quella leva riuscirà a trasformarlo nel ‘guerriero dragone’ che sconfiggerà Tai Lung. Nella realtà quotidiana aziendale comprendere quali sono le motivazioni profonde che animano ciascuno dei propri collaboratori è un’attività un po’ meno banale di quanto non lo sia in un film di animazione, ma nondimeno è il solo modo per ottenere il meglio da essi.

La mia personale esperienza mi fa rilevare anche che, una volta compresa la leva motivazionale delle persone, molto spesso la chiave del successo organizzativo risiede nella rimozione dei vincoli, magari autoimposti dalle stesse, che impediscono alle persone di operare con modalità a loro congegnali. A quel punto diventa più semplice adattare i modelli organizzativi e fare in modo che funzionino davvero.

Formazione e project management

Il convegno di Andec dello scorso 15 febbraio ha messo in evidenza alcuni orientamenti nel mondo della formazione manageriale che mi pare utile riportare.

Il primo elemento che è emerso in modo chiaro dai vari interventi della tavola rotonda è che la formazione manageriale può essere un utile strumento per vincere la crisi: in effetti le aziende più lungimiranti stanno approfittando della congiuntura per guadagnare posizioni di mercato e per supportare il processo di crescita investono in formazione.

Analizzando le statistiche relative all’anno 2011 circa gli investimenti di formazione sulle fasce più qualificate della popolazione lavorativa, i dirigenti, emerge che tra il 9% e l’11% degli investimenti in formazione sono per formare figure di ‘progettazione’ e ‘gestione’. In particolare è emersa la richiesta sempre più pressante di capacità di Change Leadership. Tutte tematiche legate al project management.

Un altro spunto interessante emerso è che le fonti di finanziamento pubblico della formazione tendono a non erogare più come in passato finanziamenti ‘a pioggia’ o su intreventi spot, ma al contrario tendono a favorire “piani bilanciati”, vale a dire iniziative organiche e progetti con una strategia complessiva. Quello sembra affermarsi è quindi il principio secondo cui è necessario dotarsi di un vero e proprio progetto di formazione.

Infine è stato posto l’accento sulla facilitazione e sul concetto di learning community come elementi chiave dei nuovi paradigmi di formazione che utilizzano gli strumenti offerti dal web 2.0. Mi ha fatto piacere perché questo blog, a suo modo, ne è un piccolo esempio.
Inoltre sempre di più mi viene chiesto anche di operare come temporary manager, quindi gestendo operativamente team (ovvero piccole comunità) di lavoro e operando un trasferimento delle competenze per osmosi, giorno per giorno, come si dice in gergo “on-the-job “.

Per chi si fosse perso il convegno e fosse interessato ai temi trattati è possibile richiedere gli atti cliccando qui.

Project management e competitività d’impresa

Ho già affrontato il tema relativo all’utilizzo delle tecniche di project management per la gestione di iniziative di tipo commerciale e imprenditoriale. Mi ci soffermo di nuovo per sottolineare quanto queste possano essere un valido strumento di governo dell’azienda.

Il concetto di business case, quindi semplificando, di controllo rigoroso dei costi/benefici di un progetto come di qualunque iniziativa, dovrebbe essere la stella polare dei processi decisionali, mentre spesso accade che siano altri i criteri, non sempre adeguatamente strutturati.

E’ fondamentale strutturare il proprio progetto secondo dei passaggi ben definiti, con dei punti di controllo nei quali validare la sostenibilità del progetto in termini di risposta alla domanda: “il business case è ancora valido?”

Quindi gestione del progetto come ‘governo del business case’, da sviluppare a partire dalle variabili corrette e con gli interlocutori aziendali corretti, all’interno di processi e procedure aziendali: per far questo il primo progetto da prevedere è di tipo formativo/riorganizzativo che permetta di introdurre le metodologie nel contesto aziendale in modo efficiente ed efficace.

Interverrò sul tema mercoledì 15 febbraio a Milano alla tavola rotonda del convegno Andec (per info clicca qui), soffermandomi sull’imporanza del project management come strumento di ausilio per i manager della consumer electronic in un momento di passaggio per l’economia.

Progetti, intensità e capacità decisionale

La maratona è la metafora della vita, all’inizio non hai esperienza, non sai cosa ti riserverà il futuro ma sei pieno di vitalità ed energie, verso la fine hai molta esperienza e sai cosa puoi fare, ma la vitalità e le energie se ne sono andate

intensità di azioneUn amico podista che mi è venuto a trovare nei giorni scorsi mi ha dato questo spunto interessante. C’è una verità in questa affermazione che si applica non solo a tutta la vita nel suo complesso ma anche a tutte le situazioni particolari della vita, ai nostri progetti.
Quando ci avviamo per intraprendere una nuova iniziativa siamo pieni di idee, entusiasmo ed energia, ma difettiamo di capacità decisionale; poi alla lunga sicuramente accumuliamo esperienza, che si traduce sicuramente in capacità decisionale, ma dobbiamo anche far fronte ai momenti di stanchezza e nei quali le risorse vengono meno, chi non si è mai trovato in situazioni in cui si fatica a trovare forze, soprattutto mentali, per chiudere i progetti?

Anche nei progetti aziendali spesso ci sono difficoltà a chiudere i progetti e le difficoltà non sono solo di budget. Certamente se facciamo errori decisionali nelle fasi iniziali (stime errate, sottovalutazione dei rischi, scarso controllo sull’efficienza) potremmo trovarci con un budget troppo scarso verso le fasi finali. Ma queste situazioni si possono risolvere. La mia personale esperienza e osservazione mi suggerisce che la vera criticità è quando vengono a mancare le risorse mentali, perché a quel punto cala l’intensità di azione e la capacità decisionale. In chiusura di progetto le risorse mentali sono fondamentali.

È importante capire che esistono compiti poco ‘intensi’ da un punto di vista prettamente ‘fisico’ che però, per la concentrazione richiesta, risultano estremamente intensi. Per esempio, battere un rigore in una finale di campionato del mondo è una situazione ad alta intensità, che deriva dalla eccezionale concentrazione decisionale del momento.

E dalla posta in gioco, aggiungo io. La citazione è presa dal libro “Mourinho, questione di metodo” e l’affermazione è di Rui Faria, preparatore atletico di Mourinho. Credo che contenga una grande verità, nel calcio come nella maratona, come in qualunque sport agonistico, come in qualunque progetto, come nella vita. L’intensità, nel prendere decisioni per il governo dei progetti, è fondamentale.
All’inizio del progetto deve essere indirizzata soprattutto a mettere ordine, a prevenire rischi e problemi e preparare quello che avverrà dopo, a dosare correttamente l’energia fisica e mentale lungo il corso del progetto stesso.
Alla fine del progetto l’intensità dovrà essere indirizzata a una efficace chiusura dei punti aperti e al raggiungimento degli obiettivi che il progetto si prefigge.

Occorre quindi allenarsi alla gestione della concentrazione e al mantenimento di un livello adeguato di intensità decisionale per tutto il corso di ciascun progetto. Comprendendo anche quale livello di intensità ciascuno di noi è in grado di sostenere e per quanto tempo. Imparando ad alternare fasi intense e fasi di recupero attivo. Nella vita e nel lavoro come nello sport.

Standard di progetto e riusabilità

Start? No....Lo scorso fine settimana è stato, podisticamente parlando, il più deludente della mia piccola carriera. Avrei dovuto (e voluto) correre la maratona di Berlino, poi ai primi di settembre a causa di un impegno non rimandabile per sabato 24 ho dovuto rinunciarci e ripiegare sulla sicuramente meno motivante maratona di Bergamo e infine mi sono preso l’influenza per cui sono rimasto impotente a guardare pure quest’ultima.

Dopo aver investito per sei mesi su un progetto, questo prima si ridimensiona drasticamente e poi sfuma proprio in dirittura d’arrivo. In termini di project management mi ricorda quei progetti con una scadenza fissa e improrogabile imposta dal cliente oltre la quale viene vanificato tutto quello che è stato fatto.

In queste situazioni non c’è metodo, piano alternativo o gestione delle eccezioni che tengano, se il progetto ha mancato l’obiettivo c’è poco da girarci intorno, ha fallito.

E questo cosa centra con il titolo, vi chiederete? La riflessione che questa situazione mi ha indotto è a ben rifletterci meno fuori tema di quanto possa apparire: se il lavoro svolto nel progetto è riusabile in altri contesti e altre situazioni, allora l’investimento fatto andrà perso solo in minima parte, ci sarà qualche altro cliente al quale potrò proporre una soluzione basata sugli stessi compenenti sviluppati per il progetto andato male. Nel caso dell’allenamento per la corsa questo è sempre vero, ma – e qui sta la riflessione – possiamo dire lo stesso per quanto viene sviluppato per la realizzazione dei progetti aziendali con i quali abbiamo a che fare quotidianamente?

Nella mia professione osservo sempre una tendenza a ‘reinventare la ruota’ che oltre a generare inefficienza espone al rischio di buttare via tutto se il progetto non approda all’esito previsto. Meglio si fa quando si cerca di comporre ciò che il progetto deve realizzare mediante l’utilizzo di componenti standard, che garantiscono oltre a tempi più certi, costi più bassi e affidabilità più alta anche e soprattutto la loro riusabilità futura.

Ho dedicato gran parte della mia vita professionale alla ricerca della standardizzazione e industrializzazione dei progetti e dei relativi processi e credo di poter affermare, risultati alla mano, che questa può essere spinta molto oltre i limiti che comunemente si ritengono raggiungibili, con conseguenti vantaggi in termini di riusabilità.

Per mia fortuna nel breve periodo anche la forma fisica ha una riusabilità pressoché totale, vediamo se riesco a utilizzarla per qualche gara del calendario autunnale.

Fiducia nel metodo di preparazione

Solo una breve riflessione di fine agosto, a valle dell’ultimo lunghissimo pre-maratona che, se mai ce ne fosse stato bisogno, mi ha dato l’ennesima lezione sulla fiducia nel metodo.

Ho passato due mesi, luglio e agosto, in cui avevo la sensazione di muovermi come un gambero, più correvo e più le prestazioni arretravano. C’è stato un momento in cui avevo l’impressione che l’involuzione sarebbe stata irreversibile.

Invece ieri con il primo fresco che sono riuscito a trovare, le cose si sono rimesse d’incanto a girare per il verso giusto e ho scoperto che l’allenamento è servito e non vado poi così male.

Come dicevo nell’ultimo post, avere fiducia nel metodo e in chi ce lo insegna, rimanere focalizzati sull’obiettivo, senza farsi risucchiare dalle ossessioni. L’ho imparato di nuovo ieri per l’ennesima volta e chissà quante volte ancora lo imparerò.

Credere a un metodo organizzativo

orso_stancoQualunque essere umano sano, normodotato e adeguatamente allenato può correre una maratona. Poi, certo, dipende anche da che costanza ci metti nell’allenarti e da che ‘cilindrata’ madre natura ti ha donato. Disponendo di una cilindrata non brillante ed essendo partito da una situazione in cui ero completamente fuori forma, personalmente dalla pratica della maratona ho imparato che se si crede in un metodo e si ha fiducia in chi ce lo insegna, si posso raggiungere risultati che prima sembravano impossibili.

Però bisogna crederci e occorre farlo sopratutto nei momenti in cui sembra di non farcela. Questo mese, tra il caldo che mi accompagnava negli allenamenti e un periodo lavorativo intenso che non aiutava a trovare grandi spazi per allenarmi, mi sentivo in certi momenti po’ come l’orso della foto qui sopra. E il pensiero andava a tutte quelle situazioni organizzative dei progetti aziendali in cui sembra che il caos debba ineluttabilmente prendere il sopravvento.

Ricollegandomi al post precedente, è proprio in queste situazioni che si vede se gli schemi organizzativi funzionano ma uno degli ingredienti perché gli schemi funzionino è la fiducia nel metodo e nel fatto che se anche oggi magari le cose non hanno girato per il verso giusto, domani sarà possibile raddrizzarle e mettere ordine all’organizzazione. “Noi abbiamo un sogno e non un ossessione” ripete come un mantra il solito controverso allenatore. E’ proprio così, occorre coltivare un sogno e non lasciare che serpeggino le ossessioni, questa è la vera essenza motivazionale e facilitativa per saper guidare un team che gestisce progetti.

Buone ferie a tutti!

I progetti e l’intensità di lavoro

In questo periodo mi trovo in una situazione lavorativa particolarmente intensa e la corsa diventa uno dei pochi momenti in cui riesco a mettere un po’ di ordine, soprattutto mentale, alle mille cose che devo inseguire. Naturalmente le mie riflessioni di questo periodo vanno al tema dell’intensità di lavoro nei progetti e di come sia necessario dare una direzione a questa intensità, perché non diventi tutto un inseguire vanamente le emergenze in modo disordinato.

1480963_mIn queste situazioni ci si rende conto una volta di più di come sia importante, per dirla con una illuminante metafora calcistica, evitare di correre come i forsennati dietro alla palla, ma cercare di mantenere la posizione e fare correre la palla al posto nostro. Se vogliamo è un concetto ovvio e banale, anche se in realtà è una di quelle cose che  sono più difficili di quanto possa sembrare da mettere in pratica.

La verità è che il lavoro in intensità è una di quelle cose che occorre allenare, bisogna imparare a tenere la propria posizione sul campo anche sotto pressione, esercitando e mandando a memoria gli schemi di gioco. Fuor di metafora, è importante esercitare le procedure organizzative e mandare a memoria gli schemi di interazione tra gli attori di progetto quando la pressione è bassa, in modo tale da trovarsi con dei meccanismi organizzativi collaudati nel momento della maggior pressione. Solo così facendo ci si può aspettare che ciascuno tenga la posizione e sia in grado di dare il proprio contributo migliore a supporto del team e del progetto affinché il team sia coeso nel momento più difficile. E solo così è possibile, per mutuare un altro concetto sportivo, anche praticare il ‘recupero attivo’ altro elemento fondamentale per riprendere fiato quando si è sotto pressione, favorire il riequilibrio energetico e garantire la tenuta del team alla distanza.

I progetti e la gestione dei rischi

Ritorno sul tema dei rischi perché a mio modo di vedere non si finisce mai di parlarne abbastanza.  L’occasione per parlarne è stato il webinar per Aula PMI che ho tenuto lo scorso 19 maggio sull’argomento e del quale può essere vista la registrazione sul portale Microsoft cliccando qui.

objectsinmirrorQuesto webinar segna uno stacco rispetto al passato, per la prima volta ho utilizzato la maratona come caso esemplificativo a cui applicare i vari argomenti trattati, per cui la metafora del podista è stata il filo conduttore di tutta la trattazione. Ovviamente i riferimenti nei miei pensieri andavano tutti alla maratona corsa il mese scorso, sicuramente ricca di spunti sul tema (per usare un eufemismo!), come già ampiamente spiegato nel mio precedente post.

Insieme ai partecipanti ci siamo chiesti qual è l’origine dei rischi, come analizzare le varie cause e come tenerne traccia. Poi siamo passati ad analizzare gli impatti, le relazioni causa effetto e le possibili azioni di risposta. Infine abbiamo toccato il tema del controllo dei rischi.

Parlare una volta ancora di rischi e delle loro misure, la probabilità e la prossimità, mi ha fatto venire in mente un’immagine rappresentativa che ho riportato nella foto qui sopra, ovvero quella tipica frase che c’è scritta nei retrovisori delle automobili americane: “gli oggetti nel retrovisore sono più vicini di quanto possano apparire”. La mia esperienza, e me ne convinco ogni giorno di più, è che le stime di probabilità e prossimità sono sempre troppo ottimistiche, anche i rischi sono sempre più vicini di quanto possano apparire. Questa frase andrebbe scritta nel ‘retrovisore’ di tutti i project manager.

Risolvere le issue di progetto e salvare progetti compromessi

Domenica scorsa ho avuto modo di sperimentare molto in pratica come una issue totalmente imprevista (il caldo intorno ai 30°C ad aprile) possa mettere compromettere completamente il rollout di un progetto (la mia maratona di Milano, che avevo preparato con tanta cura). Non che il caldo sia arrivato proprio all’improvviso, ma quando si è saputo che sarebbe arrivato era ormai troppo tardi per adottare misure preventive e non restava che provare a gestire la situazione.

7143699_sE così domenica mattina mi sono avviato verso la partenza cercando di capire quale potesse essere una strategia sensata per mettere in pratica tutte le raccomandazioni di prudenza del mio allenatore. Avendo come sempre suddiviso la prova in fasi (due fasi iniziali di 10 km ciascuna, seguite da 4 fasi di 5 km ciascuna e un ultima fase di 2.195 km) ho pensato che nella prima delle fasi  avrei tenuto più o meno il ritmo previsto, cercando di approfittare del clima relativamente più fresco e ventilato. Così ho fatto anche se al decimo chilometro, mentre facevo il mio primo consuntivo e valutavo i margini di tolleranza sul ritmo tenuto e il budget di rischio ancora a disposizione, mi sono reso conto che stavo consumando più effort del previsto e per le fasi successive ho deciso di abbassare il ritmo di 5 secondi al chilometro. Mi sembrava una buona stima per una buona valutazione del rischio e invece il calcolo era di nuovo errato: al km 29, sotto il sole a picco, è sopraggiunta inesorabile la issue di progetto, sono andato in crisi e mi sono ritrovato in eccezione con tutti i piani saltati.

Quindi al km 30 sono stato costretto a un SAL d’urgenza per capire se il business case del progetto stava ancora in piedi e per cercare di predisporre un exception plan. In quella situazione 12 km ancora da percorrere sembravano veramente tanti, il tempo finale non sarebbe stato buono e il punto era: vale la pena l’effort per l’unico beneficio residuo, ovvero quello di essere comunque arrivato in fondo? Ho pensato che sì, la soddisfazione di farcela comunque valeva lo sforzo e ho predisposto l’exception plan: ritmo blando, bagnarsi spesso, fermarsi a tutti i ristori, mangiare e soprattutto bere molto. Le tre fasi rimanenti (le due di 5 km e l’ultima di 2,195 km) a quel punto le ho collassate in un unica fase e ho ‘navigato a vista’, tenendo sotto stretto controllo le sensazioni.

Così facendo ho completato la mia maratona nonostante tutto, e in un tempo nemmeno così malvagio viste le circostanze. Certo, ho mancato l’obiettivo (e beneficio) principale che era quello battere il mio personale e questo mi costringerà a mettere in cantiere un altro progetto…..