In un mio precedente articolo (che potete rileggere qui), parlando di rischi operativi, ho evidenziato un comportamento piuttosto comune in ambienti a bassa maturità organizzativa: la presunta complessità del contesto viene spesso usata come scusa per giustificare le proprie prestazioni inadeguate.
In questi contesti, le difficoltà esterne sono invocate come cause uniche del caos organizzativo, mentre si evita di riconoscere le responsabilità interne, sia individuali che sistemiche. Questo porta alla cosiddetta abdicazione della leadership, che alimenta una mentalità vittimistica e passiva nel team.
Ma come si costruisce un ambiente di lavoro che responsabilizza, invece di deresponsabilizzare? Come si promuove un contesto in cui ognuno si sente autorizzato ad agire da leader?
Uno degli strumenti concreti più efficaci in questo senso è la definizione e la condivisione di uno scopo (purpose) chiaro, che ispiri e orienti l’azione.

Leadership a tutti i livelli: un principio fondamentale
Uno dei quattro principi base del metodo Kanban afferma:
“Incoraggia atti di leadership a tutti i livelli.”
Significa abilitare ogni individuo – non solo i manager – a migliorare attivamente il sistema. Ma affinché ciò accada, serve più di un metodo visuale o una board Kanban: serve senso. E il senso si costruisce a partire da uno scopo condiviso.
Lo scopo – ‘purpose’ – nel Kanban Maturity Model
Nel Kanban Maturity Model (KMM), lo scopo è visto come una leva culturale fondamentale per l’evoluzione organizzativa, soprattutto a partire dal livello 3 (Fit-for-Purpose) in su.
A questo stadio di maturità:
- l’organizzazione riconosce che non tutto è fuori controllo;
- inizia a discernere tra variabilità sistemica e problemi di metodo;
- definisce uno scopo che guida il comportamento, orienta le decisioni e responsabilizza.
Nei livelli di maturità più alti (4 e 5), questo scopo viene interiorizzato a livello di cultura organizzativa: diventa parte del DNA del team.
Esempio pratico: uno scopo che guida le azioni
Prendiamo un team di informatici che sviluppa un’app per la gestione finanziaria personale. Iniziano a usare Kanban per migliorare il flusso, ma si accorgono che senza un orientamento chiaro, le decisioni restano frammentate. Decidono allora di formulare insieme uno scopo condiviso:
“Aiutiamo le persone a sentirsi sicure e in controllo delle proprie finanze attraverso soluzioni semplici, affidabili e accessibili.”
Questo scopo viene:
- reso visibile sulla Kanban board;
- usato come criterio per dare priorità;
- richiamato nei momenti di review e miglioramento.
Risultato?
- Un designer propone una nuova funzione utile non richiesta dal backlog.
- Uno sviluppatore junior evidenzia un rischio sulla fiducia dell’utente.
- Il team rifiuta collettivamente una richiesta del marketing che va contro il purpose.
Tutti questi sono atti di leadership distribuita, resi possibili dallo scopo.
Conclusione: lo scopo come antidoto alla mentalità vittimistica
Uno scopo chiaro è molto più di una dichiarazione d’intenti: è una fonte di libertà e responsabilità.
È lo strumento con cui un’organizzazione può contrastare la mentalità vittimistica, valorizzare il contributo individuale e coltivare una cultura in cui tutti si sentono parte attiva del miglioramento.
Nel linguaggio del KMM, questo è ciò che distingue i sistemi maturi da quelli che abdicano: non è la complessità esterna a fare la differenza, ma la chiarezza interna sul perché si fa ciò che si fa.
Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
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